Un cartello sull’autostrada A32 che collega Torino al Frejus segnala la presenza del cantiere per la linea ferroviaria ad alta velocità ed alta capacità (per le merci) di Chiomonte. Percorsa una galleria, al termine un cancello di ferro separa l’autostrada dal sito. Benvenuti al Fort Apache della Val Susa. Ci accolgono militari dell’Esercito e agenti della Digos. Controllano i documenti. Dentro ogni forza di polizia è rappresentata. Telecamere a circuito chiuso registrano. Una bandiera italiana campeggia su un traliccio. Visto da dentro il cantiere non sembra un sito da dove nascerà un’opera pubblica quasi storica, capace di ridurre ancora di più i tempi di viaggio per le persone e le merci tra l’Italia e la Francia. Tra l’Italia e l’Europa.
Il cantiere è stato aperto il 27 giugno 2011. I No Tav vi avevano installato una loro “Repubblica”, denominata “Libera Repubblica della Maddalena”, di cui rimangono molte tracce con casupole abusive, nidi d’aquila, auto bruciate. L’intervento delle Forze dell’ordine e della Ltf (Lyon Turin Ferrovia-ire, la società responsabile della parte comune italo-francese del futuro collegamento ferroviario tra Torino e Lione; è partecipata al 50% da Rete Ferroviaria Italiana e da Réseau Ferré de France) ha riportato il cantiere nella legalità. Il 2 febbraio 2012 il sito è divenuto di “interesse strategico nazionale”. Il 27 febbraio è stato recintato con del filo spinato e vigilato 24 ore su 24. Ora l’ 11 aprile il cantiere dovrebbe iniziare ad essere operativo, visto che fino ad oggi si sta andando avanti con le manutenzioni.
Gli operai, tra cui qualche straniero, hanno però paura. Non vogliono parlare con i giornalisti. Non vogliono dire dove lavorano. Temono per sè e le loro famiglie. Ma garantendo loro l’anonimato riusciamo a farci raccontare la giornata tipo. Iniziamo da Mohamed (il nome è di fantasia, è marocchino). E in Italia da molti anni. Sta aspettando di avere la cittadinanza. Nel suo Paese aveva una laurea in geografia. Ha provato a fare dei concorsi, ma non è riuscito a superarli e quindi è venuto in Italia per fare l’operaio. “Devo lavorare – dice -. Ho una famiglia con dei figli, se non lavoro sono nei guai. Come faccio a mantenerli? Sono venuto in Italia per lavorare, non per spacciare droga”. I suoi figli studiano. La sua è una di quelle famiglie arabe che si è ben integrata. Ama la nostra bandiera. Vuole continuare a vivere in Italia. Il suo giudizio sui No Tav? ‘Sono qui per lavorare – risponde – non mi interessa dare la mia opinione. La mia unica opinione è quella di mantenere la mia famiglia. E’ giusto collegare con un’opera come la Torino-Lione l’Italia all’Europa. Anche in Marocco si fa l’alta velocità, ma lì non si registrano problemi che si registrano qui”.
Anche per Giuseppe, altro nome di fantasia, il problema principali è il lavoro. Si occupa di trasporto di materiale con i camion, Giuseppe. Finalmente è nuscito a trovare un’occupazione dopo tanti anni di peregrinazioni. Teme che se l’opera non andrà avanti, saranno momenti bui per lui e la sua famiglia. Momenti bui anche per qualche albergatore della Val Susa. Chi ha dato ospitalità a poliziotti impegnati nei mesi passati nell’ordine pubblico si è visto assediare il proprio hotel e minacciare. Ci hanno raccontato anche di casi di albergatori No Tav che hanno contestato i loro colleghi pro Tav. Insomma in Val Susa si registra una “guerra ideologica” che non aiuta certo il clima sociale. “Sono molto meravigliata – dice a Conquiste, Roberta Lampugnani, segretaria provinciale della Filca di Torino – e quasi non posso credere che nelle manifestazioni dei No Tav per impedire l’avvio dei lavori nel cantiere della Maddalena vi sia una forte presenza di donne e di bambini. Penso che la lotta delle donne dovrebbe essere, invece, indirizzata a ottenere più opportunità di lavoro per tutta la Valle e in particolare per loro ed i loro figli. La costruzione della Torino-Lione può essere e deve diventare una grande occasione di sviluppo in tanti settori: dal turismo ai servizi”.
“Sappiamo tutti – aggiunge Lampugnani – che, storicamente, le donne sono le prime a venire espulse dal ciclo produttivo e le più discriminate nel trovare occupazione. Per questo dovrebbero contrattare con le istituzioni che una parte delle risorse economiche destinate alle opere compensative siano utilizzate anche per la creazione di posti di lavoro per loro e per il potenziamento dei servizi e delle strutture socio-assistenziali come asili nido”.