Quello dell’economia sommersa continua a rappresentare uno dei nodi non sciolti del Sistema Italia. Anche dall’ultima classifica in merito, stilata da Visa Europe, arrivano notizie non buone. Stando ai numeri diffusi, infatti, l’Italia è, tra i 15 Paesi membri originari dell’Unione europea, lo Stato che detiene il primato della maggiore incidenza di sommerso: il 22,2% del pil. In termini economici questo equivale ad una cifra considerevole: circa 335 miliardi di euro. Una montagna di risorse occultate all’economia “in chiaro” dalla quale emerge, numeri alla mano, anche un’altra questione di fondo. Le tendenze mostrate, infatti, mettono in risalto come, all’interno dei primi 15 Paesi nella Ue, il nostro Paese risulti primo per percentuale di sommerso rapportato al pil, con un dato che la colloca ben lontano da Irlanda e Austria, in cima alla classifica dei mercati europei definiti trasversalmente come più trasparenti (13% e 9% rispettivamente). Per invertire la tendenza e scalare la classifica dei più virtuosi, quindi, resta ancora molta strada da fare.
Per quanto riguarda la possibile ricetta per frenare il fenomeno il Rapporto individua naturalmente una soluzione tecnologica, cioè quella di aumentare il ricorso alle nuove realtà riferendosi, in particolare, alla cosiddetta “moneta digitale”, che offrirebbe, è questa la tesi di fondo, maggiori garanzie sulla tracciabilità dei movimenti contabili. Parlando di sommerso, non si può non toccare anche l’argomento occupazione. Rispetto a questo tema, l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Oil) ha ribadito che, davanti a un mercato del lavoro fragile, caratterizzato da un persistente elevato livello di disoccupazione, una stagnazione della crescita dei posti di lavoro e da una diminuzione dei salari è necessario concentrarsi maggiormente sulle politiche a favore dell’occupazione produttiva e della crescita ad alta intensità di lavoro. Secondo l’Oil, infatti, “nonostante nel 2010 vi sia stata una crescita positiva dell’occupazione in tutti i paesi del G20, questa è stata significativamente più forte nelle economie emergenti rispetto alle economie ad alto reddito”.
Il Rapporto sottolinea come questa crescita dell’occupazione, complessivamente, non sia stata abbastanza forte da far ripartire il mercato del lavoro, fermo sostanzialmente dall’inizio della crisi economica. L’analisi afferma che il numero di disoccupati rimane al livello record di 210 milioni, 30 milioni in più rispetto al periodo antecedente la crisi nel 2007, mentre i salari reali sono diminuiti in media del 4 per cento rispetto ai livelli pre-crisi. Secondo l’Oil, quindi, a pesare sono ancora soprattutto le disuguaglianze di reddito e la debole crescita dei salari.
(dal sito www.conquistedellavoro.it)