Una legge sulla rappresentanza “altrui” fatta da chi non riesce a ridefinire la propria, di rappresentanza, appare un paradosso. Raffaele Bonanni ribadisce la contrarietà Cisl di un intervento parlamentare nel territorio delle relazioni industriali. “Il mondo del lavoro non è un agone politico – sottolinea intervenendo al convegno “Una legge sulla rappresentanza sindacale?”, organizzato da Unioncamere -, i lavoratori si organizzano in sindacati perché la rappresentanza contribuisca a fare contratti e benessere aziendale. Gli accordi li facciano le parti, non serve una nuova legge sulla rappresentanza fatta da un Parlamento che non riesce a fare una legge elettorale”. L’ausilio legislativo non è utile, dunque. E il segretario generale Cisl, lo evidenzia sottolineando che “anche nei momenti più difficili della vita nazionale i contratti sono stati fatti e i lavoratori hanno avuto le loro garanzie contrattuali”.
Quello attuale, è innegabile, è uno tra i momenti più difficili sul fronte economico-sociale. Ma è anche un momento “alto” sul fronte delle relazioni sindacali. “Negli ultimi anni sono accadute cose importanti – dice a proposito Bonanni -. La crisi ha fatto maturare lavoratori e imprenditori, e lo dimostrano i contratti firmati in momenti difficili. Si sono fatti accordi impensabili fino a 5-6 anni fa. La concezione antagonistica del sindacato è ormai sparita, salvo piccole sacche di resistenza”. Ecco perché, dopo decenni, Cgil, Cisl e Uil, con qualche contrasto al proprio interno, “hanno firmato accordi pesanti”. Nel mondo del lavoro, dunque, prevale più che mai il pragmatismo, la ricerca della mediazione. Nelle aziende, aggiunge il leader cislino, “il populismo non prende corpo perché la questione contrattuale è strettamente collegata all’equilibrio del riconoscersi tra le parti”. Resta, certo, un settore in cui una parte del sindacalismo pensa che il sindacato debba essere antagonista, e solo in quel settore ci sono problemi”. Ma questa posizione, è il ragionamento di Bonanni, è culturalmente sconfitta. Il sindacato, sintetizza il segretario Cisl, “esiste per fare contratti”. E il sindacato fa i contratti solo “se la controparte lo riconosce, se sa che quell’interlocutore ‘tiene’ in azienda in termini di rappresentatività”. Dunque, a che pro una legge?
“Si potrebbe pensare che il Parlamento possa fare una legge che ricalchi quanto sottoscritto dalle parti – conclude Bonanni -. Ma chi si fida di chi non sa fare una legge elettorale per regolare la propria rappresentanza. Speriamo che questa vicenda si concluda definitivamente con l’ultima associazione che deve firmare l’accordo interconfederale”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Luigi Angeletti. “Noi non vediamo nessuna ragione per cui in Italia si debba fare una legge che non esiste in nessuna parte del mondo democratico”, sottolinea il leader della Uil. Su ventiquattro Paesi dell’Ocse, fa notare Angeletti, una legge del genere “ce l’ha solo il Brasile che l’ha presa dal modello fascista”. Perché l’Italia dovrebbe “essere diversa?”.
Più sfumata la posizione della Cgil. “Una legge che imbrigli la libertà e gli accordi presi tra le parti sociali non la vogliamo – dice Fabrizio Solari, segretario confederale cigiellino -. Ma una legge che renda esigibile per tutti un sistema di regole concordato dalle parti sociali ci interessa”.
Sul fronte parlamentare, Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato, ribadisce l’importanza delle regole definite autonomamente dalle parti sociali. “Un contratto – sottolinea Sacconi – è il punto di incontro possibile, quindi il contratto che vale è quello che c’è. Non oso pensare a mettere nelle mani di un magistrato gli accordi. Io credo nei corpi intermedi, nella nostra cultura comunitaria. Quando occorre, se occorre, quello che serve è una legislazione di sostegno. Non una legislazione invasiva”.
(dal sito di Conquiste del Lavoro)