PIAROTTOLEGNO, ALLARME DEI SINDACATI: “AZIENDA RISCHIA DI CHIUDERE, PREOCCUPAZIONE PER I 91 LAVORATORI”

PIAROTTOLEGNO, ALLARME DEI SINDACATI: “AZIENDA RISCHIA DI CHIUDERE, PREOCCUPAZIONE PER I 91 LAVORATORI”

Si fa sempre più delicata e complessa la vertenza della “Piarottolegno”, l’azienda di semilavorati in legno che sta di fatto smantellando il proprio stabilimento di Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia. C’è grande apprensione tra i 91 dipendenti, mentre i sindacati sono sul piede di guerra. “Siamo in stato di agitazione da giorni – dichiara Andrea Grazioso, segretario generale della Filca di Venezia – abbiamo anche installato un gazebo all’ingresso dell’azienda con l’obiettivo di controllare i movimenti. Il nostro timore è che possano chiudere la fabbrica e spostare la produzione nello stabilimento in Polonia”. L’azienda, che ha anche uno stabilimento in Ucraina, ha quasi 100 anni di storia. Nel 1922, infatti, fu fondata a Mirano l’azienda Piarotto dal Cav. Antonio Piarotto. Nel 1968, poi, nacque la Piarottolegno Spa. Una lunga storia di successo che rischia ora di naufragare con una decisione che viene osteggiata dai sindacati e dalla comunità del territorio: “Chiudere i battenti vuol dire negare un futuro a centinaia di famiglie, e cancellare in un colpo solo tanti anni di storia e un pezzo importante dell’economia di questo territorio”, accusa Grazioso, che ha iniziato a lavorare proprio in questa azienda. I problemi non sono recenti, ma erano stati risolti attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali e a investimenti che avevano ridato fiato alla società. Addirittura erano stati assunti altri lavoratori. Ma tutto si pè rivelato un fuoco di paglia. “C’è stato un cambio repentino dei vertici aziendali – spiega il segretario generale della Filca di Venezia – che ha provocato prima un rallentamento e poi l’interruzione di tutte le comunicazioni con noi e con la Rsu aziendale. Poi l’arrivo del Covid-19 ha fatto precipitare le cose, e il risultato è che oggi non abbiamo un referente con il quale confrontarci e l’azienda sta disattendendo gli impegni presi, inviando materiale grezzo, semilavorato e dirottando i clienti verso la sede in Polonia. “A marzo – prosegue Grazioso – l’azienda aveva chiesto la Cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) fino al 18 maggio. Fino a qualche giorno prima della scadenza, però, i vertici dell’azienda non erano stato in grado di dirci nulla su una eventuale ripresa dell’attività produttiva. Non siamo rimasti a guardare: abbiamo sollecitato un incontro in via telematica per sottoscrivere il protocollo sanitario previsto dai decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo pure il coinvolgimento della Regione Veneto. Il successivo incontro ha confermato le criticità che temevamo, con l’azienda che con nostra grande sorpresa ha anche ipotizzato il ricorso al concordato preventivo. Ora siamo davvero preoccupati per la sorte di questo fiore all’occhiello del tessuto produttivo locale e soprattutto per il futuro di 91 lavoratori e delle loro famiglie. In questi giorni sono previsti nuovo incontri – conclude Grazioso – mentre prosegue lo stato di agitazione. Non accetteremo decisioni avventate e irresponsabili, prese sulla pelle dei lavoratori”.

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