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LETTERA A GESU’ BAMBINO, FIGLIO DEL FALEGNAME

LETTERA A GESU’ BAMBINO, FIGLIO DEL FALEGNAME

Roma
Un operaio del legno, ora disoccupato, scrive: “Caro Gesù, figlio di un collega…..”
Con questa toccante testimonianza di un nostro iscritto, Francesco Albanese, vi auguriamo un sereno Natale. La speranza è che il 2009 allontani finalmente le difficoltà ed i momenti duri degli ultimi anni.
Caro Gesù Bambino,
ti scrivo perché sei figlio di un collega. L’ultima volta ti ho scritto giusto 40 anni fa, tu certo non ricordi ma io sì! Ti chiesi una fionda e un pallone di cuoio tutto per me, però ti aggiunsi che rinunciavo al pallone se portavi un lavoro al mio papà che da 5 mesi era senza lavoro licenziato dal cotonificio del paese.
La mattina di Natale trovai una grande fionda in legno, era intagliata, opera delle esperte mani del povero nonno, niente pallone….. Però prima di pranzo passò un amico di famiglia che offrì a papà un posto di lavoro nella sua bottega di falegname. E fu un Natale bellissimo…..!
Oggi ho 47 anni sono un bravo operaio, da 30 anni lavoro sui pantografi, ma tre mesi fa la mia azienda, del famoso triangolo Prata-Maron-Brugnera, ha chiuso e con altri 20 colleghi sono stato licenziato. Ce ne siamo andati salutati freddamente dagli “addolorati” proprietari senza un euro, ma con tante promesse che ci avrebbero pagato tutto. E l’altro giorno ho letto sul giornale che hanno portato i libri in Tribunale.
Perché hanno approfittato del “buon senso” dei lavoratori, quel buon senso che ci distingue e che ci fa “valore aggiunto”…….., e che tanti definiscono con disprezzo “esser mona”.
Ti scrivo perché ho bisogno che qualcuno mi ascolti!
Per tanti anni ho pensato di essere qualcuno, di avere tanti amici, di essere una bella famiglia. Invece….: giro in cerca di lavoro e mi rispondono che sono un costo, che sono vecchio; al bar sentenziano che ho sbagliato, che dovevo farmi sentire, che non ho le palle; a casa i miei figli non si preoccupano e con Anna, mia moglie, neanche ci parliamo più per non litigare ed offenderci.
Forse hanno ragione, perché lavorando 10/11 ore tutti i giorni più il sabato, giorno mese anno dopo anno ho dimenticato come si vive in famiglia accanto a una moglie, vicino ai propri figli.
Se ci penso impazzisco, mi sento male dentro……, ho la sensazione che tutti mi guardino, mi sopportino come un povero disoccupato.
A Natale vorrei essere lì in chiesa, come saranno loro i miei titolari ” i padroni”, ma io mi vergogno, ho tanti cattivi pensieri dentro di me: quando mi sento forte vorrei vendicarmi e fare del male, ma quando mi prende la disperazione penso alle grigie e cupe acque del Livenza.
Non sono più un bambino e certo la mia lettera verrà cestinata, ma se mi ascolti dammi la forza di vivere questo momento, di convincermi che non sono un fallito, sono sì un disoccupato ma con tanta dignità.
Buon Natale anche a te.
PS. Quella fionda ce l’ho ancora e il giorno di Natale la stringerò forte.

Francesco, operaio del legno “disoccupato”
(FOTO: “Il bambino Gesù nella bottega di San Giuseppe”, Gerrit Van Honthorst)
natale

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