Oltre 150 miliardi di dollari di profitti illegali. E’ questo il giro d’affari generato nel mondo dal lavoro forzato, secondo gli ultimi dati del rapporto dell’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che chiama ad un maggiore impegno di governi e parti sociali per l’eradicazione di un sistema dello sfruttamento che non procura danni solo alle vittime ma anche al sistema formale dell’economia e dell’impiego. Secondo il rapporto “Profitti e povertà: il sistema economico del lavoro forzato”, ci sarebbero ben 21 milioni di persone in condizione di lavoro forzato nel mondo. Un numero elevatissimo che genera profitti ingenti a tutto ed esclusivo vantaggio degli sfruttatori. Sono molti i settori interessati dal fenomeno. Fra questi, il settore più redditizio è quello della prostituzione capace di generare da solo introiti per oltre 99 miliardi di dollari. Complessivamente, il 22% delle persone soggette a condizioni di lavoro forzato è sfruttato sessualmente. Il resto dei ricavi, oltre 50 miliardi di dollari, proviene invece dai settori del lavoro domestico, dell’agricoltura e da altre attività economiche. Nello specifico, l’edilizia e il manifatturiero generano profitti per oltre 34 miliardi di dollari, l’agricoltura e la pesca si attestano a 9 miliardi mentre il lavoro domestico a 8 miliardi. Considerando la composizione dei settori, è facile dedurre come la maggior parte delle vittime siano donne e ragazze che vengono sfruttate come prostitute o lavoratrici domestiche.
Fra i paesi maggiormente interessati dal fenomeno spicca l’Asia dove sarebbero quasi 12 milioni, ovvero il 56% del totale, le vittime del lavoro forzato. L’Asia è anche il primo continente in termini di profitti con quasi 52 miliardi di dollari ma le economie sviluppate, compresa l’Europa, non risultano particolarmente distanti con 46,9 miliardi di introiti annui. E’ proprio nelle economie più avanzate che i profitti per singola persona sono più elevati con quasi 35 mila dollari di introiti pro capite. Un primato incontrastato, considerando che in Medio Oriente i ricavi per singolo lavoratore ammontano a 15 mila dollari, in America Latina e Caraibi a 7.500 dollari, in Asia a 5 mila dollari, in Africa a 3.900 dollari. Per quanto riguarda i profitti annuali pro capite in relazione alla tipologia di attività, è ancora una volta il mercato del sesso a pagamento a guidare la classifica. I ricavi annuali derivanti dallo sfruttamento di una persona in questo settore ammontano a quasi 22 mila dollari. Nel resto dei settori, dall’edilizia alla manifattura, un singolo lavoratore genera, in media, profitti annuali per quasi 5 mila dollari, mentre nell’agricoltura gli introiti ammontano a 2.500 dollari e nel settore dei servizi domestici a 2.300 dollari.
Il rapporto dell’Ilo mette in evidenza come esista una stretta relazione fra povertà, mancanza di buoni livelli di formazione professionale e lavoro forzato. In particolare, il rapporto sottolinea la facilità con cui molte famiglie, sottoposte a shock finanziari, finiscano nel circuito del lavoro forzato. In assenza di protezione sociale, i componenti delle famiglie ricorrono, con sempre maggiore frequenza, a prestiti che permettono a datori senza scrupoli di sfruttare la loro condizione di vulnerabilità. Fra le fasce di popolazione più esposte ci sono, infine, gli immigrati. Secondo l’Ilo, ben il 44% delle vittime del lavoro forzato sono immigrati interni o esterni. Nella maggior parte dei casi, i debiti contratti per il pagamento del viaggio e dell’assunzione rappresentano fattori utilizzati dagli sfruttatori per ridurre le persone in uno stato di lavoro forzato.
In seguito all’evidenza dei dati raccolti, l’Ilo formula le sue raccomandazioni per combattere il fenomeno del lavoro forzato nel mondo. Il primo passo da compiere è dunque quello dell’estensione degli schemi di protezione sociale, per evitare che le famiglie in difficoltà rimangano impigliate nella rete del ricatto e dello sfruttamento, e dei programmi di formazione per aumentare le possibilità dei lavoratori di accedere a posti dignitosi. Specifica attenzione, inoltre, ai lavoratori immigrati i cui diritti devono essere garantiti e tutelati. Un maggiore supporto alle organizzazioni dei lavoratori, in particolare nei settori più vulnerabili, può infine contribuire a ridurre la diffusione del lavoro forzato.Il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, ha invitato governi e parti sociali a un maggiore impegno per l’eradicazione di un fenomeno altamente lesivo per le persone e per lo sviluppo economico: “Il lavoro forzato – ha spiegato Ryder in occasione della presentazione del rapporto – è dannoso sia per il mercato sia per lo sviluppo, oltre che per le vittime; il rapporto dell’Ilo dimostra l’urgenza di aumentare i nostri sforzi per eradicare al più presto questo male altamente remunerativo”.