Avremo pure fatto “progressi notevoli” sul risanamento (Mario Draghi, di passaggio a Barcellona con il direttivo della Bce al seguito). Ma in pochi additerebbero l’Italia come esempio virtuoso di politiche per l’occupazione. Le lodi del governatore al governo Monti non bastano a cancellare la sensazione che l’Italia sia già in piena emergenza occupazione. Sensazione confermata anche dal Rapporto Unioncamere 2012, secondo il quale quest’anno verranno bruciati 130mila posti di lavoro. L’emorragia riguarda in prima battuta le piccole e medie imprese. È sotto la soglia dei 10 dipendenti che si rischia di più. A fine anno Unioncamere stima che le piccole e piccolissime imprese, la dorsale del tessuto produttivo italiano, avranno assunto 18mila lavoratori in meno rispetto alle grandi, quelle di taglia superiore ai 50 dipendenti. A conti fatti, per le aziende la cui forza lavoro è compresa tra 1 e 9 addetti il saldo sarà pesantemente negativo: 62mila posti in meno, quasi la metà del passivo totale. Altri 53mila lavoratori dovrebbero essere lasciati a casa dal-le grandi imprese, 33mila seguiranno la stessa sorte nelle medie (tra 10 e 49).
Per il segretario generale aggiunto della Cisl Giorgio Santini “alcune risposte” alla crisi potrebbero venire dalla riforma del mercato del lavoro. Che, sottolinea, va approvata “in tempi brevi”. In questo modo sarà possibile incoraggiare “le assunzioni in apprendistato e riceveranno nuovo impulso le politiche attive per incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”. La riforma rischia però di rivelarsi insufficiente – annota Santini – senza interventi “che possano compensare gli effetti negativi delle misure di austerità. Occorrono misure di rilancio degli investimenti per stimolare la domanda interna e la riforma fiscale per alleggerire le tasse su lavoro e impresa. Scelte da realizzare con la concertazione con le parti sociali”.
Se il calo dell’occupazione dipendente sarà numericamente consistente soprattutto nel settore dei servizi, con una riduzione di 44mila posti di lavoro, il calo percentuale più significativo è atteso invece nell’edilizia: più di 34mila i posti di lavoro che, tra entrate e uscite, si dovrebbero perdere durante l’anno, con una diminuzione dell’occupazione che raggiungerà il – 3,3%. Un dato che non può che preoccupare i sindacati di categoria. “È la conferma – commenta infatti il segretario generale della Filca Domenico Pesenti – di quello che diciamo da tre anni. L’edilizia si basa sui progetti, solo in un secondo momento si aprono i cantieri: ma i progetti sono completamente fermi. Così un settore che in realtà potrebbe aiutare molto a combattere la crisi – osserva Pesenti – finisce per essere invece quello che ne paga il prezzo maggiore”. La recessione non colpirà uniformemente su tutto il territorio nazionale. Il Mezzogiorno sarà ancora una volta l’area più colpita: 42mila i posti di lavoro in meno (-1,7%). II Sud sarà penalizzato anche dalla dinamica del PiI. Se la crescita stimata per l’intero territorio nazionale è del – 1,5%, in alcune regioni del Mezzogiorno – Abruzzo, Molise e Basilicata – si potrebbe scendere al-2%.