INVERTENDO il significato in senso positivo del comune detto “chi la fa, l’aspetti”, potremmo considerarlo sintesi perfetta dell’esperienza che il settore dell’edilizia sta vivendo in questi anni. Settore intrinsecamente difficile per la natura del lavoro e per il rappresentare a tutt’oggi ancora uno dei settori lavorativi a maggior “accoglienza” di manodopera non specializzata e proveniente da paesi e culture diverse, l’edilizia ha potuto beneficiare negli anni di un preciso e costante intervento legislativo e normativo, sia comunitario che nazionale, che ha comportato, per gli operatori del settore una importante traccia, spesso dal carattere vincolante e coercitivo -tipico del precetto normativo- sulla quale far convergere gli sforzi e gli interventi volti ad un costante miglioramento in termini di tutela della salute e sicurezza sul lavoro di tutti i soggetti impegnati, a diverso titolo, in cantiere. Dal D.P.R. 164 del 1956 alla direttiva 92/57, recepita poi in ambito nazionale con il D.Lgs 494/96, modificato poi dal D.Lgs. 528/99, alla legge quadro in materia di lavori pubblici (L.109/94), per arrivare all’atto più recente con l’approvazione del decreto che definisce i contenuti minimi dei piani di sicurezza e coordinamento dei cantieri edili temporanei o mobili, l’edilizia ha sempre potuto contare, in ciascun diverso livello di intervento, su di una disciplina specifica. Non si può certo nascondere che questa realtà non abbia comportato problemi, ricordiamo infatti per questo ad esempio la “giostra” delle tante circolari ministeriali e delle loro diverse interpretazioni, a seguire dall’emanazione del decreto legislativo 494, ma che hanno comunque richiamato non tanto e non solo l’attenzione degli studiosi e dei commentatori giuridici, ma anche, senz’altro per motivazioni ed obiettivi diversi e spesso più pragmatici, i principali protagonisti del lavoro edile e del cantiere, dal committente al coordinatore per la progettazione/esecuzione, dal datore di lavoro dell’impresa artigiana al lavoratore autonomo. Per molti anni il settore dell’edilizia ha rappresentato il settore produttivo in cima alla lista dei settori a più alta frequenza infortunistica. A fronte di circa un milione e 300mila addetti distribuiti in quasi 600mila aziende (dati INAIL 2003), con una crescita occupazionale del 2,4% (in un mercato del lavoro da questo punto di vista non così in crescita), l’edilizia si è vista in questi ultimi tempi positivamente “retrocessa” al quarto posto per numero di infortuni, dopo l’industria del legno, della metallurgia e della trasformazione. Rifuggendo l’elencazione dei dati sugli infortuni e , come credo ormai noto a chi fedelmente legge queste mie pagine sulla sicurezza, non intendendo appassionarmi sulla guerra delle affermazioni e delle smentite relative all’attendibilità e precisione di questi o di quelli o delle statistiche ad essi correlate, un bilancio positivo ed una registrazione di un concreto avvio verso un trend in crescita nella lotta contro gli infortuni sul lavoro in cantiere, non può non essere sottolineata o sottaciuta. E’ il giusto successo di chi si impegna, di chi delineato un obiettivo non perde la rotta nel seguirlo, non perde occasione per promuovere interventi significativi a favore del risultato. E in questo non si può certo dimenticare il ruolo centrale dei Comitati paritetici, della rete degli RLS/RLST coordinata dalla FILCA nazionale, come non si può non richiamare, in una logica di approccio di sistema, i tanti progetti finanziati dall’INAIL, dall’ISPESL, dall’Agenzia di Bilbao (che l’anno scorso ha anche premiato tra i migliori progetti europei una sperimentazione CISL/ASL 10 Val d’Elsa per un SGSL applicato ad un cantiere) per promuovere e diffondere buone pratiche. Ma anche il coordinamento tra le Regioni e le parti sociali che attraverso ITACA ha lavorato pesantemente per arrivare all’elaborazione di un Testo unico per gli appalti pubblici e uno schema di Legge regionale sui lavori pubblici, fornendo una guida significativa, ma soprattutto condivisa e partecipata, per le regioni chiamate in un tempo prossimo ravvicinato ad un tempestivo recepimento dell’emananda direttiva europea unificata in materia e alla definizione di norme proprie, anticipando ed allontanando con un atteggiamento pro-attivo e, nel metodo, innovativo, il pericolo di una possibile pluralità di regole e sistemi disomogenei nelle diverse realtà territoriali del nostro paese favorendo forme di concorrenza sleale, ma soprattutto disuguaglianza ai fini della tutela e della sicurezza dei lavoratori. Il cambiamento reale che sta avvenendo, infatti, nel settore dell’edilizia -senza certo trascurare i tanti traguardi ancora da raggiungere e i problemi da risolvere, uno tra tutti, il lavoro nero- è fondamentalmente nella cultura della sicurezza che lentamente sta entrando e diffondendosi nel tessuto interno del settore, tra i lavoratori e le figure, per ruolo, di centrale responsabilità e governo del cantiere. Ai coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione per primi è stato richiesto dalla legge di acquisire conoscenza e competenza mediante il possesso di un titolo di studio e di una formazione adeguata (con i temi e la durata del percorso chiaramente stabiliti). Nelle disposizioni normative relative ai cantieri, tra le prime, si è iniziato ad inserire il concetto di sistema, di cooperazione, di piano di sicurezza coordinato, di piano operativo della sicurezza specifico per impresa, di progettazione e programmazione, di modalità organizzative, di pianificazione lavori e organigramma, di cronoprogramma, ma anche, di costi della sicurezza, di “pericolosi” ribassi d’asta, di requisiti minimi per l’accesso alle gare d’appalto, di lavoratori autonomi anch’essi soggetti alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il recente decreto, approvato nei giorni scorsi, sui contenuti minimi dei piani di sicurezza e coordinamento dei cantieri edili temporanei e mobili, ne è un’ennesima conferma. Con una priorità assoluta e una spinta verso un approccio di sistema nel gestire la sicurezza in ambiente di lavoro, con una riconferma ad un’articolazione modulare e precisa della necessaria documentazione senza ricorsi a inefficaci appesantimenti barocchi di produzione sterile di documenti fotocopia, ma al contempo, lontani da semplificazioni e alleggerimenti burocratici che creano solo assenza e mancanza di utili strumenti di organizzazione e coordinamento, anziché di un concreto risparmio di tempo e di risorse economiche. Nel nuovo regolamento a riemergere prepotentemente è la fondamentale, seppur spesso dimenticata se non trascurata, differenza tra pericolo e rischio, tra quelle due dimensioni di approccio al problema della salute e sicurezza sul lavoro che, perché confuse o gestite quali sinonimi indifferentemente scambiabili, hanno da sempre “sacrificato” e ricondotto il processo di analisi e valutazione del rischio ad una mera elencazione di fonti di pericolo, dalle macchine agli ambienti di lavoro, senza mai mettere in evidenza, valutare, la variabile umana e l’organizzazione del lavoro di questa, quale elemento determinante e caratterizzante quel fattore, non più solo di pericolo, ma di rischio. Con la fine del mese scorso è partita anche in Italia la campagna nazionale per la sicurezza nel settore delle costruzioni, voluta e promossa dalla Commissione dell’Unione Europea. La campagna, promossa e coordinata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e realizzata dall’INAIL, vedrà una prima fase di diffusa sensibilizzazione al problema della sicurezza nell’edilizia e una seconda, più incisiva, con un programma di controlli ispettivi effettuati a campione, secondo un criterio e delle modalità stabilite a livello europeo. Sull’esempio concreto, quindi, dimostrato dal settore dell’edilizia che, “chi fa, ottiene dei risultati”, dobbiamo solo augurarci che questo possa al più presto accadere per tanti altri settori, in particolare, oggi più necessario che mai, nel settore della scuola e del pubblico impiego.
Cinzia Frascheri