L’economia sommersa italiana ammonta a 255-275 miliardi, vale a dire tra il 16,3% e il 17,5% della ricchezza prodotta dal Paese. È quanto emerge dal rapporto Finale del Gruppo di lavoro sull’Economia non Osservata, istituita presso il Ministero dell’Economia, e guidata da Enrico Giovannini, presidente dell’Istat. Il rapporto è stato presentato ufficialmente da Giovannini in una audizione alla commissione Finanze della Camera nell’ambito dell’esame della delega sulla riforma fiscale e assistenziale. L’economia sommersa non comprende quella illegale della criminalità organizzata, nè quella informale. Il suo andamento negli ultimi anni, secondo le stime del Gruppo di lavoro, è tutto sommato abbastanza omogeneo. Nel 2000 il sommerso ammonta tra i 216.514 e i 227.994 miliardi, con una incidenza sul Pil tra il 18,2 e il 19,1%.
Nell’ultimo anno a cui fanno riferimento le stime del Rapporto, cioè il 2008, il sommerso si attesta tra i 255.365 e i 275.046 miliardi, cioè tra il 16,3% e il 17,5% della ricchezza prodotta. In cifre assolute il “nero” è cresciuto, in parallelo all’innalzamento del Pil, anche se in percentuale è sceso seppur non di molto. Il maggior merito della diminuzione dell’economia sommersa va attribuita alla sanatoria degli immigrati del 2002, che ha tolto dal nero numerosi lavoratori. E infatti il sommerso è sceso da quell’anno fino al 2007, quando ha ripreso a salire. Il gruppo guidato da Giovannini sottolinea poi un altro elemento. Nell’economia sommersa ha assunto un ruolo marcato non più il lavoro irregolare, bensì la correzione del fatturato al ribasso da parte delle aziende, e il rigonfiamento dei costi intermedi. Il sommerso differisce poi notevolmente tra un settore e l’altro. Nel 2008, nell’ipotesi massima, il valore aggiunto sommerso nel settore agricolo è stato pari al 32,8% del totale (9.188 milioni di Euro), nel settore industriale al 12,4% (52.881 milioni di Euro) e nel terziario al 20,9% (21.978 milioni).
All’interno del Terziario, poi, si va dal 6,4% del credito e le assicurazioni al 56,8% degli alberghi e dei pubblici esercizi. Il dato desta un certo stupore e allarme sociale. I quasi 300 mld di euro evasi farebbero molto comodo al Governo per raggiungere la parità di bilancio nel 2013. Per il momento sul tavolo c’è solo un decreto per lo sviluppo a costo zero. Nonostante la richiesta di interventi strutturali arrivata a più riprese dai palazzi di Bruxelles e anche dalla Bce e il declassamento di Standard & Poor’s, il Governo insiste nel tenere in naftalina quattro grandi misure su cui con priorità diverse spingono la maggioranza e, in parte, i sindacati: pensioni, dismissioni, accelerazione della riforma fiscale e patrimoniale. La partita però non è affatto chiusa.
Dall’aggiornamento del Def, domani all’esame del Consiglio dei ministri, dovrebbe scaturire una correzione obbligatoria di 7-8 miliardi che dovrebbe essere ‘recepita’ entro la metà di ottobre con la legge di stabilità. Una correzione che, secondo alcuni esponenti della maggioranza, potrebbe essere anche più consistente (10-15 miliardi) e che, insieme alla necessità di recuperare risorse per il piano decennale per la crescita annunciato dal ministro Giulio Tremonti al tavolo sullo sviluppo e alla cui stesura potrebbe contribuire anche la Banca d’Italia (ma il Tesoro smentisce), potrebbe costringere il Governo a sbloccare almeno due dei quattro interventi ora congelati. E la questione potrebbe essere nuovamente affrontata anche tra le pieghe del vertice di maggioranza in calendario sempre domani, in cui verranno affrontati il capitolo della crescita e quelli della giustizia e della legge elettorale. Il pressing resta intenso soprattutto sulle pensioni. Tutto il Pdl considera necessario un intervento immediato sulla previdenza per reperire nuove risorse e dare un chiaro segnale a Bruxelles (e anche ai mercati) in termini di riduzione di spesa. Un’opinione condivisa anche dai tecnici del Tesoro che da tempo hanno preparato una griglia definita di misure. L’obiettivo è porre fine al fenomeno dei pensionamenti di anzianità arrivando in tre o quattro anni a quota 100 (somma di età anagrafica e contributiva) e alzare a regime l’età di pensionamento a 67 anni.
“I dati odierni diffusi dall’Istat confermano il lavoro irregolare su livelli elevatissimi, pari a oltre due milioni e mezzo di lavoratori, anche in tempo di crisi, infatti i posti di lavoro persi tra il 2009 e il 2010 sono quasi esclusivamente quelli regolari”. Lo dichiara in una nota, Giorgio Santini, Segretario generale aggiunto della Cisl commentando i dati Istat diffusi. “Per affrontare una delle questioni più serie del nostro mercato del lavoro, in particolare nel Mezzogiorno- continua Santini- oltre che incentivare il lavoro regolare dando rapida attuazione al nuovo apprendistato ed al credito di imposta, va messo in campo un piano straordinario per il Sud con una strategia su più fronti che preveda: il potenziamento dell’attività di ispezione, vigilanza e repressione; l’emersione del lavoro di cura tramite un adeguato innalzamento della attuale detrazione fiscale relativa alle spese per l’assistenza personale aumentando, contestualmente, il limite di reddito entro il quale è possibile usufruirne; il contrasto del sommerso nel segmento del lavoro giovanile tramite programmi finalizzati al recupero della dispersione scolastica e formativa, anche utilizzando l’apprendistato, nonché un utilizzo mirato del lavoro con voucher, con le dovute garanzie, per alcuni lavori di tipo occasionale dove soprattutto si annida l’irregolarità”. “La crescita del tasso di posti vacanti nelle imprese sia dell’industria che dei servizi, altro dato interessante diffuso oggi dall’Istat- conclude Santini- ci dice che vi sono alcuni spazi di crescita del lavoro regolare, che vanno intercettati anche con un utilizzo più mirato delle politiche attive del lavoro”.