E’ entrata nel vivo la vicenda del Gruppo Ferretti. Dopo l’incontro avvenuto nella giornata di ieri presso l’Unione Industriali di Forlì, Filca Cisl, Fillea Cgil, Feneal Uil, hanno deciso di spostare il tavolo della vertenza a Roma presso il Ministero dello Sviluppo Economico richiedendo quanto prima la convocazione delle parti.
Il Gruppo Ferretti, leader mondiale nel settore nautico che ha tra i suoi prestigiosi marchi, oltre allo stesso Ferretti, Pershing, Itama, Riva, Mochi Craf, Crn e Bertram specializzata nella realizzazione di barche per la pesca sportiva di lunghezza tra gli 11 e 24 metri, è stata rilevata nel 2012 dal gruppo cinese Shandong Heavy Industry Group – Weichai Group. Al momento dell’acquisizione il management ha presentato un piano industriale quinquennale (seguendo una logica presente nell’economia cinese), che oltre a confermare il rilancio dei marchi del Gruppo assicura la stabilità occupazionale di tutte le mestranze.
Il piano non deve aver tenuto conto di cosa accade in europa a livello finanziario. Le vendite si dimezzano anche per una radicale modifica del mercato: l’assenza dell’armatore medio europeo che acquistava barche di lunghezza compresa tra 11 e 24 metri dal valore commerciale di circa 1 milione di euro, e la presenza di acquirenti russi ed asiatici che si orientano su barche di lunghezza compresa oltre i 24 metri. Questo comporta ad una riduzione di quasi la metà di barche vendute oltre al fatto che “i nuovi ricchi” vogliono la barca “pronta consegna” il che obbliga ad avere quasi un magazzino di barche con costi altissimi di manutenzione.
Il 2013 vede il gruppo avere una sofferenza nel proprio bilancio ed il management, rimasto tutto italiano, ricorre alla soluzione più tradizionale che ha accompagnato gran parte dei nostri imprenditori: chiudere una unità produttiva (in questo caso Forlì) che riduce i costi strutturali sperando in anni migliori.
“Durante gli incontri – spiega Paolo Acciai, Segretario Nazionale Filca Cisl – il sindacato unitariamente ha cercato di proporre soluzioni alternative che, oltre al ricorso dei tradizionali ammortizzatori sociali, andavano nella direzione propositiva di un nuovo modello organizzativo e produttivo applicando quanto già previsto in tema di flessibilità di orario anche nel recente Ccnl legno/ industria. Purtroppo entrare in questi meccanismi significa anche per l’azienda affrontare ed analizzare il proprio sistema produttivo che richiede sicuramente grande sforzo di rinnovate relazioni industriali. Ed allora molto meglio la soluzione più semplice: cassa integrazione, mobilita, chiusura di un sito.
Per noi – prosegue Acciai – la richiesta del tavolo ministeriale significa ripartire dallo spirito che ci ha permesso recentemente di realizzare il protocollo di intesa nel Gruppo Natuzzi. Sarà fondamentale riproporre un sistema di social innovation laddove si concerti insieme una nuova organizzazione del lavoro a fronte di una (speriamo breve) crisi aziendale e comunque non trovi negli ammortizzatori sociali l’unica soluzione possibile se non accompagnata dalla reale ricollocazione degli eventuali esuberi anche in altre aziende, iniziando però a vedere quanta esternalizzazione delle lavorazioni viene fatta e quanta può essere ricollocata all’interno dei siti produttivi. Come sindacato, conclude Acciai, siamo pronti ad entrare in questa discussione, vediamo cosa risponderà l’azienda”.