Nei giorni scorsi a Firenze si è svolta la X edizione di “Terra Futura”, la mostra-convegno delle buone pratiche di sostenibilità, quest’anno dedicata al tema: “Oltre la crisi per una nuova Europa”. Fra le numerose iniziative promosse quest’anno, il pomeriggio del 17 maggio, insieme alle federazioni di categoria Fiba, Filca, Fim e Fnp la Cisl ha organizzato il seminario: “Generare valore per uscire dalla crisi”. Ai lavori ha partecipato il segretario nazionale della Filca Salvatore Scelfo, responsabile del Dipartimento Legalità. Per la Cisl era presente il segretario confederale Maurizio Petriccioli, del quale pubblichiamo di seguito un contributo sul tema dell’iniziativa.
Il seminario ha individuato nel territorio il “luogo” dove agire il cambiamento per superare gli attuali squilibri economici e sociali, tramite la creazione di reti, di alleanze, di spazi di confronto e partecipazione capaci di produrre beni relazionali per il sistema produttivo. Secondo le rilevazioni statistiche e le proiezioni delle principali istituzioni economiche internazionali ed europee l’Italia tornerà sul sentiero della crescita solo nel prossimo anno.
Le prospettive per il medio periodo non sono però incoraggianti: la modesta crescita attesa non sembra in grado di modificare in modo significativo nel breve periodo gli attuali squilibri sociali ed economici e le fosche previsioni sull’aumento della disoccupazione anche per il prossimo anno sembrano condannare il nostro Paese ad attendere passivamente i segnali che verranno dall’Europa. L’ipotesi di un possibile allentamento dei parametri del Patto di stabilità, e la presa di coscienza circa la necessità di un intervento straordinario a sostegno del lavoro e dell’occupazione sembrano aprire nuove possibilità di cambio dell’attuale paradigma basato esclusivamente sulla via del rigore. La tesi di fondo che sembra ormai unanimemente condivisa da più settori della politica, dell’economia e del sindacato è che l’Italia abbia bisogno di un investimento straordinario di modernizzazione della propria frontiera di specializzazione produttiva, di aggiornamento e valorizzazione del capitale, della creazione di reti di intelligenza, di qualità sociale per sostenere la crisi, di recupero delle capacità economiche e sociali attualmente occultate, anche attraverso un contrasto straordinario alla situazione di illegalità, straordinariamente diffusa. Ecco allora che il tema della generazione di nuovo valore coinvolge direttamente il paradigma economico e sociale di riferimento e le modalità di fruibilità e di distribuzione della ricchezza prodotta, il che chiama in causa il tema del modello distributivo e della democrazia economica. L’approfondimento e le riflessioni che sono emerse nel corso del seminario hanno individuato nel “territorio” il luogo che più di altri presenta una sua peculiare attitudine alla “generazione di valore”.
Una risposta, valoriale importante ad un modello di sviluppo che pone le cause degli eventi fuori dei confini delle nostre case, delle nostre città, della nostra Italia, della nostra Europa. Ma perché il territorio possa esprimere appieno tutte le sue potenzialità sono necessari alcuni ingredienti: una governance territoriale il più possibile autonoma dallo Stato centrale, con una forte perequazione fiscale basata sui principi di solidarietà e meritocrazia; una politica industriale capace di valorizzare ed esaltare le vocazioni e le caratteristiche economiche di una comunità organizzata (in termini di risorse turistiche ed ambientali, talenti artigianali, presenza di poli tecnologici o di reti di intelligenza, ecc.); un’organizzazione del welfare davvero capace di integrare le risposte pubbliche con quelle private, basata sulla maggiore riconoscibilità delle condizioni di bisogno locali, collettive ed individuali. Il risultato dell’incompiutezza del federalismo fiscale è sotto gli occhi di tutti: aumento della pressione fiscale complessiva per le imprese e i consumatori ma, soprattutto, la difficoltosa individuazione delle responsabilità su molte materie. Fino al venire meno del principio cardine di un sistema fiscale equo e democratico che gli anglosassoni sintetizzano nell’espressione: “Nessuna tassa senza rappresentanza”.
Non dobbiamo nasconderci sul fatto che numerose voci di spesa, oggi, a cominciare da quelle per la Sanità e per l’istruzione, finiscono per essere determinate nella loro dinamica sul territorio, mentre il loro impatto incide sul bilancio nazionale senza alcuna possibilità di controllo dal centro. Di qui l’intuizione dei costi standard come meccanismo per misurare l’efficienza delle amministrazioni locali. Ma chi paga se a fronte di risorse scarse il servizio pubblico erogato da un Ente locale costa molto di più, in una data realtà territoriale, del livello standard? Pagano i cittadini che dovranno pagare nuove tariffe o sobbarcarsi l’inefficienza derivante dal ridimensionamento obbligato dei livelli di servizio? Pagano i lavoratori degli enti locali e delle società controllate, che vedranno ridotti gli spazi di premialità o, peggio, i livelli occupazionali? E’ evidente che non ci può essere federalismo fiscale senza attribuire da un lato la massima autonomia fiscale ai Comuni, dall’altro senza conferire ai cittadini poteri efficaci di sanzione che non siano solo quelli “generici” del voto politico, ma effettivamente in grado di incidere sui processi amministrativi e gestionali degli Enti stessi e delle società da questi controllati. Tra patto di stabilità ed obiettivi di maggiore efficienza, il crinale su cui il sindacato si muove è molto più stretto e non potremo di certo fermarci di fronte alla generica affermazione del “non ci sono risorse”, affermazione che di frequente segna l’inizio e la conclusione del confronto sui bilanci locali. In secondo luogo occorre contrastare, anche tramite lo sviluppo del welfare contrattale, il rischio di un ulteriore ridimensionamento dei livelli di copertura sociale e previdenziale.
Un rischio che si basa, da un lato, sui problemi di equilibrio della finanza pubblica e di sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, acuiti dalla persistenza della crisi economica, dall’altro sulla convinzione sempre più diffusa che i processi di emancipazione ed ascesa sociale possano più efficacemente realizzarsi tramite percorsi di vita individuali, quasi totalmente nelle mani degli individui stessi. A livello territoriale occorre, dunque, promuovere e sostenere “luoghi” di partecipazione in cui i diversi soggetti che costituiscono una “comunità organizzata” (parti sociali, amministratori, politici, volontariato, ecc.) possono confrontare e riprogrammare – partendo dai beni sociali – nuove occasioni di crescita, possibile solo in un ambiente in cui la socialità è stata ricucita e per questo torna ad essere un “valore”.