Roma
La Filca del Trentino si interroga sul futuro dell’attività estrattiva per l’economia del territorio
Con 140 imprese che occupano circa 3 mila addetti, l’estrazione del porfido rappresenta per il Trentino una delle più importanti attività economiche e sociali. Oltre un migliaio i lavoratori extracomunitari impiegati in particolare nel lavoro di cava. Il fatturato si aggira attorno ai 200 milioni di euro ed oltre il 40% della produzione viene esportata in Francia, Germania, Austria e Stati Uniti.
La nuova legge provinciale 7/06, approvata dopo una lunga fase concertativa e a distanza di oltre 20 anni dalla prima, introduce importanti novità che regolano il settore estrattivo. Istituire un distretto del porfido è veramente lo strumento e l’opportunità per realizzare concretamente una crescita ed una qualificazione del settore? Sarà l’occasione per costruire politiche e linee guida per elevare la qualità dell’impresa, del prodotto, del lavoro, dell’ambiente e mezzo di integrazione e valorizzazione di tutta la filiera produttiva? O servirà, invece, alla spartizione dei fondi pubblici per esercitare sempre più una forte egemonia rispetto ad altri comparti? Sono questi i quesiti al centro dell’iniziativa dal titolo “Distretto del porfido: vincolo o opportunità – Quale sostenibilità economica, sociale ed ambientale per il futuro dell’attività estrattiva”, organizzato da Cisl, Cgil, Filca e Fillea del Trentino, che si svolge domani a Mensa di Albiano, Trento, alla quale parteciperanno tutti i soggetti coinvolti nella gestione del settore del porfido. In Trentino l’estrazione del porfido rappresenta una delle più importanti attività economiche e sociali della Val di Cembra. Nel settore operano 140 imprese, 95 nell’estrazione e 45 nella lavorazione e sono occupati 3mila addetti (circa il 50% diretti ed il restante nell’indotto che si occupa della lavorazione e della commercializzazione). Oltre un migliaio dei lavoratori sono extracomunitari impiegati principalmente nel lavoro di cava. Il fatturato annuo si aggira intorno ai 200 milioni di euro ed oltre il 40% della produzione viene esportata principalmente in Francia, Germania ed Austria e Stati Uniti. La “coltivazione” delle cave ha iniziato a svilupparsi in modo organizzato fin dagli anni ’30, con caratteristiche sempre più evolute fino a diventare la principale fonte di guadagno per le comunità di Albiano, Lases ed altri comuni della zona, anche se non si può ritenere il settore del porfido organizzato in modo industriale. “Questo comparto – afferma Stefano Pisetta, segretario generale della Filca del Trentino – non riesce ad esprimere capacità e cultura industriale ed una qualità di impresa che sia all’altezza delle sfide. La maggior parte delle aziende è di piccola dimensione e ha difficoltà di autofinanziamento e di investimenti e non ha politiche che razionalizzino i servizi permettendo di ridurre i costi di esercizio. Si ha l’impressione che essere imprenditori, per alcuni, non significhi più essere responsabili verso la comunità, i lavoratori ed il territorio, ma sia soltanto la protezione dei propri interessi; questo preoccupa molto il sindacato per le possibili ripercussioni sull’occupazione e sul tessuto sociale della zona”. Il settore porfido ha sempre impiegato principalmente “manodopera immigrata”, proveniente prima dal Sud Italia e oggi dall’estero. Vista la scarsa qualità urbanistica ed ambientale delle comunità locali, ci si chiede quale sia l’apporto che il settore ha dato in termini di ricaduta economica e sociale e come sia stata impiegata la ricchezza prodotta. E’ un quesito che i sindacati porgeranno sia agli imprenditori che alle amministrazioni locali. Ai primi, che da anni sfruttano la concessione pubblica con costi non congrui, irrisori, rispetto agli utili ricavati e che hanno investito in maniera scarsa nelle loro aziende preferendo investimenti finanziari o attività di lavorazione della pietra in altre parti del mondo. Alle comunità locali a causa delle precarie condizioni e qualità dei servizi, finanziati dalla Provincia. “Non abbiamo visto di buon grado – continua Pisetta – il metodo con il quale viene istituito il Distretto, un percorso forzato che non tiene in considerazione la realtà di profonda divisione e crisi tra le aziende del settore, che rischia di minare la funzionalità del Distretto. Riteniamo che al centro del buon funzionamento dei distretti debba esserci la qualità delle politiche oltre alla qualità e alla formazione delle risorse umane, non solo degli operai ma in special modo degli imprenditori. Costituire un distretto industriale in questo settore non vuol dire solo mettere assieme le imprese ma anche le idee e le persone”. E’ di fondamentale importanza anche il ruolo che devono ricoprire gli organi di vigilanza e le amministrazioni comunali nel loro lavoro di controllo specialmente sul versante che riguarda la prevenzione e la lotta al lavoro nero ed irregolare. E’ quindi necessario istituire un sistema integrato di controllo, il più possibile estraneo agli interessi locali, munito di strumenti tecnici adeguati. Assume un particolare valore il Protocollo firmato alcuni giorni fa tra tutte le amministrazioni locali dell’area estrattiva ed il sindacato: un accordo che impegna le parti a praticare periodicamente il confronto e la concertazione su questioni fondamentali del mondo estrattivo. “Anche sul versante della sicurezza e delle condizioni di lavoro – prosegue il sindacalista Filca – lo standard medio di qualità ed attenzione è ancora insufficiente, per questo si potrebbe pensare di istituire una certificazione di responsabilità sociale delle aziende del distretto che comprenda fattori legati all’impatto sull’ambiente, la sicurezza e la tutela dei lavoratori e della popolazione che vive in prossimità dell’area produttiva. Sul versante della prevenzione riproponiamo la necessità di istituire i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza territoriali (Rlst) che insieme con gli altri preposti possano verificare le condizioni di rischio ed intervenire tempestivamente per superarle”. “Tutti questi argomenti – conclude Pisetta – verranno esposti domani ai nostri interlocutori con lo scopo che dal dibattito possano scaturire risposte scelte ed orientamenti per rendere sostenibile e compatibile l’attività estrattiva”. “L’iniziativa di Trento – afferma Paolo Acciai, segretario nazionale Filca – è un’occasione per evidenziare alcuni punti importanti: il primo legato alla tipologia particolare della produzione che viene effettuata in questo settore; sicuramente parlare di lavoro usurante è il minimo che si possa fare, insieme alla salute e sicurezza del lavoro. Una lavorazione esclusivamente manuale che usura gli addetti che operano in condizioni non proprio ottimali in qualsiasi stagione. L’altro – continua il segretario nazionale – è la determinazione con cui la Filca prosegue il suo impegno politico nell’attenzione rivolta ai distretti industriali attraverso una continua ricerca di dati e di azioni che possono rendere le strutture territoriali le vere protagoniste di un rilancio dello sviluppo locale”. Infatti l’obiettivo di un Osservatorio di distretto che si vuole istituire, è proprio quello di raccogliere, elaborare e diffondere informazioni utili per tutti gli attori coinvolti e contribuire a produrre tutto ciò che può costituire un bene pubblico e strategico per il sistema locale.
Claudio Sottile
Il “top” tra i materiali lapidei
Fin dall’antichità il porfido veniva utilizzato per decorazioni, per opere architettoniche e stradali a causa delle caratteristiche uniche nel suo genere: resistenza all’usura, durevolezza, consistente resistenza agli attacchi chimici ed atmosferici e per la moltitudine di colori in diverse gradazioni. Proprio per queste particolari virtù il porfido è considerato il top dei materiali lapidei. Venne utilizzato già dagli Etruschi e dai Romani sia nell’arte che nelle opere edili. Il porfido è una roccia vulcanica effusiva di età permiana (260 milioni di anni) ed è formata per più del 65% da una pasta vetrosa o microcristallina nella quale sono inclusi piccoli cristalli in percentuale variabile tra il 30/35%. I cristalli più abbondanti sono quelli di quarzo. Il ciclo di produzione del porfido è costituito da tre fasi distinte; il distacco della roccia dalla parete compatta, detto abbattimento, selezione e trasporto e lavorazione finale. L’estrazione del porfido avviene a cielo aperto in lotti di escavazione disposti su gradoni di altezze comprese tra i 10 ed i 20 metri. La prima lavorazione avviene in cava con la selezione dei prodotti usati per la realizzazione di mosaici, nei vari spessori e dimensioni, mentre la materia prima che servirà poi per i prodotti lavorati viene inviata in laboratorio per la seconda lavorazione. Qui, con macchinari sofisticati e speciali il porfido viene tagliato e lavorato fino al prodotto finito, imballato ed immagazzinato in attesa di essere trasportato nei cantieri dove verrà messo in opera. Il porfido, per le sue caratteristiche e per la sua naturale ruvidità, viene impiegato nella pavimentazione di esterni a partire dal semplice marciapiede fino a strade e piazze (sanpietrini e lastre) anche sottoposte ad un intenso e costante traffico pesante. Viene inoltre impiegato per la realizzazione di pavimenti e rivestimenti di interni per i quali si usano altri tipi di lavorazione come il fiammato, il lucido e semilucido, a seconda dell’impiego. Uno dei più celebri luoghi di estrazione e lavorazione del porfido è il Trentino i cui prodotti si adattano alle più svariate esigenze architettoniche.