Da Conquiste del Lavoro di venerdì 9 giugno 2017 – Articolo di Ester Crea (scarica il pdf)
Rosso cupo, quasi viola: così è il colore che indica le zone ad alto rischio sismico nella mappa disegnata dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), all’incirca 5 lustri fa e solo dopo che il terremoto del Molise, nel 2002, si portò via 27 bambini e la loro insegnante, morti nel crollo della scuola di San Giuliano di Puglia. Prima di allora c’era una classificazione studiata dopo il sisma dell’Irpinia, decisamente insufficiente a descrivere il pericolo. Il mondo scientifico ne era consapevole tanto che con un’azione spontanea nel 1998 sismologi e ingegneri di vari enti, dal Cnr al Servizio sismico e altri mettevano a punto una prima carta. Se la costruzione della scuola di San Giuliano di Puglia avesse rispettato le valutazioni di quel documento già esistente, però non ancora diventato un atto dello Stato, non sarebbe crollata.
E’ un altro dei paradossi di questo Paese, “sempre affannato nell’emergenza a seguito di terremoti ed altre calamità naturali e sempre in ritardo nel programmare quegli interventi che permettono invece di affrontare non più l’emergenza ma i problemi con un respiro molto diverso”. Questa la considerazione che Annamaria Furlan, ha rilasciato alla stampa a margine del congresso della Filca Cisl, al termine di una mattinata di lavori dedicata interamente al tema della ricostruzione post terremoto nel Centro Italia.
Per Furlan, su questo tema c’è “una responsabilità anche parlamentare della politica, visto che non c’è una legge nazionale degna di questo nome per affrontare le conseguenze degli eventi sismici: per cui di terremoto in terremoto abbiamo bisogno di una serie di decreti che ti fa ripartire da zero ogni volta per poter avviare il recupero e la ricostruzione”. Un tema sollevato anche da Alfredo Bertelli, esperto del commissariato straordinario per la ricostruzione, assieme alla caratteristica di un territorio fatto di piccoli e piccolissimi comuni, già spopolati e resi più fragili dalla crisi, cui il terremoto ha assestato il colpo di grazia. “Abbiamo un territorio con 200-300mila immobili da ricostruire, piccole comunità da rimettere in piedi. Ma o i comuni si associano, o non ce la faremo”, ha scandito.
Un appello rivolto anche al sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, collegato via Skype, che nei giorni scorsi è tornato a farsi portavoce del malessere e del disagio dei suoi concittadini. “C’è un problema legato allo smaltimento delle macerie, c’è la questione della ricostruzione con l’utilizzo delle nuove tecniche, ma il primo intervento – ha sottolineato il primo cittadino – deve essere di tipo psicologico, su una comunità che è stata devastata. Quelle macerie – ha aggiunto – rappresentano non solo la distruzione degli edifici, ma anche della storia delle persone”. Parliamo di quella che il sociologo Stefano Tomelleri, docente dell’Università di Bergamo definisce “un’idea di ricostruzione della comunità, che prima ancora che materiale, è morale ed economica”. “Se una comunità è ferita, può essere difficile il processo di ricostruzione e risanamento. Il rischio, nel frattempo è la fuga, la disaffezione nei confronti della classe dirigente”, ha avvertito Tomelleri. “Possiamo ricostruire queste comunità com’erano, – ha aggiunto – ma nel ricostruire dovremmo forse pensare a non riproporre le brutture di certe periferie che tendono alla segregazione, ma a riprogettare gli spazi, facendone partecipi i cittadini. Che è poi un modo per ricostruire la comunità”.
Un principio che è anche alla base del progetto Casa Italia, che punta alla messa in sicurezza degli edifici, con il coinvolgimento attivo delle comunità delle zone a rischio. “Altrimenti – ha avvertito il Project manager del progetto, Giovanni Azzone – qualunque intervento perderà di efficacia”. Azzone ha fatto l’esempio del bonus sismico “che potenzialmente mobilita una quantità di risorse enorme. Il governo si è impegnato a finanziare il 70% delle spese. Un primo riscontro ci dice però che i numeri sono ancora modesti. Per questo serve la motivazione delle persone, che devono essere adeguatamente informate e rese consapevoli”. E qui anche il sindacato può giocare un ruolo importante.
Quanto ai prossimi step del progetto, si partirà dai 10 cantieri pilota che saranno avviati in tutta Italia. In ognuno dei 10 comuni prescelti, in accordo con le amministrazioni locali, sarà trovato un edificio pubblico residenziale abitato dove fare i lavori. Uno di questi dieci progetti sarà un prototipo di scuola (primaria) “bella, sicura e aperta”. “Il mio sogno – ha detto Azzone – è prefigurare una sorta di piano Fanfani (il piano decennale di sviluppo della scuola lanciato dall’esecutivo Fanfani nel 1959, ndr) delle scuole su tutto il territorio nazionale, per farne il luogo più sicuro di tutta la comunità”.
Ma la ricostruzione delle scuole, intanto, è una priorità soprattutto per le zone terremotate. Ed il segretario generale della Filca Cisl, Franco Turri, ha colto l’occasione per ringraziare Bertelli per il protocollo firmato lo scorso marzo con i sindacati per assicurare il pieno rispetto delle norme sulla sicurezza e la tutela dei lavoratori impegnati nella realizzazione di 21 plessi scolastici nelle aree terremotate. In fondo, vale per tutti il richiamo fatto da Livia Randaccio, direttore editoriale della rivista “Imprese Edili” introducendo i relatori: ” La qualità in edilizia è un fatto possibile, prima di tutto grazie all’innovazione tecnologica raggiunta attraverso la digitalizzazione. Se ne devono rendere conto i cittadini, i tecnici intermedi e gli enti di mediazione del settore, come lo è anche il sindacato”.