COMUNI, PAGAMENTO ALLE IMPRESE A COSTO DI ROMPERE IL PATTO DI STABILITA’

COMUNI, PAGAMENTO ALLE IMPRESE A COSTO DI ROMPERE IL PATTO DI STABILITA’

L’ appuntamento è per domani, a Napoli. Di scena il Consiglio nazionale dell’Anci, l’assise dei sindaci italiani che dal capoluogo campano potrebbe lanciare un’iniziativa clamorosa ma, in fin dei conti, non del tutto inaspettata: il boicottaggio “selettivo” del Patto di stabilità interno. L’annuncio l’ha dato il presidente Graziano Delrio con un’intervista al Messaggero: basta con il Patto “stupido” che impedisce ai comuni virtuosi di onorare i propri debiti con le imprese. La spirale rigore – mancati pagamenti, questo il ragionamento, sta strangolando l’economia, i fallimenti si susseguono insieme ai gesti disperati degli imprenditori, i posti di lavoro bruciati non si contano più. Tutto sull’altare di un equilibrio dei conti appena apparente, per non dire truffaldino.

Alle lamentele dei sindaci e agli appelli delle imprese, si aggiunge anche la preoccupazione dei sindacati. Edilizia e infrastrutture dovrebbero esercitare, specie in una fase marcatamente recessiva come quella che abbiamo davanti, una funzione anticiclica. Cosa impossibile se le pubbliche ammmistrazioni non saldano neppure il conto dei lavori già eseguiti. Non è un caso, allora, che lo sblocco “selettivo” del Patto di stabilità rientri tra i punti della piattaforma che il 3 marzo porterà in piazza Filca, Fillea e Feneal. Lamanifestazione, che vedrà la presenza dei leader confederali Bonanni, Camusso e Angeletti, è stata convocata per accendere le luci sulla crisi di un settore – quello delle costruzioni – che negli ultimi tre anni ha perso 300mila occupati.

La rivolta dei Comuni non meraviglia il segretario generale della Filca, Domenico Pesenti: “Hanno mille ragioni, non possiamo nascondercelo. Qui non si discute di investimenti in nuove opere, ma di pagare lavori già eseguiti. Non farlo mette in crisi le imprese e finisce per deprimere tutta l’economia. Purtroppo è quello che sta avvenendo”. Dei 70 miliardi che lo Stato, tra amministrazioni centrali e articolazioni territoriali, deve alle imprese, la fetta dell’edilizia ammonta a ben 30 miliardi. Il pubblico in Italia non è mai stato un buon pagatore. Lo dimostrano i tempi necessari ad incassare un credito, da sempre lunghi. Ma la crisi ha aggravato la malattia. Così siamo arrivati sulla soglia dei 180 giorni – questa la media – quando la scadenza abituale dei termini contrattuali è di 90. Nel 2009 – non in un’altra era geologica, quindi – ne bastavano 128. Pur sempre un’enormità se il confronto si fa con gli altri “grandi” d’Europa: ad onorare i suoi debiti, lo Stato impiega 44 giorni nel Regno Unito, 41 in Francia, appena 24 in Germania.

Tornando ai rapporti tra governo centrale e Comuni, a gettare sale sulle ferite è intervenuto il decreto liberalizzazioni, che impone agli enti territoriali, dunque anche a Regioni e Province, la cosiddetta “tesoreria unica”, vale a dire l’obbligo di trasferire in due riprese – la prima metà entro oggi, la seconda entro il 16 aprile – le risorse che hanno in cassa alla Tesoreria statale. Piemonte e Veneto, le Regioni a guida leghista, hanno preso la strada del ricorso alla Consulta senza pensarci due volte. Tutti gli altri hanno preferito continuare a trattare con il governo. Inutile dire se nulla cambierà, il problema del Patto di Stabilità e dei residui passivi potrà dirsi risolto alla radice. Ma non in meglio.

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