CONOSCERE meglio la struttura del lavoro nell’industria delle costruzioni, anticipare dinamiche e processi che ne stanno trasformando composizione ed articolazione. Sono queste in sintesi le motivazioni che hanno spinto la Commissione paritetica per le casse edili ( Cnce ) ad avviare un lavoro di analisi e di interpretazione dei dati relativi ad oltre un milione di lavoratori edili conservati presso la Banca dati ape. Una ricchezza informativa che con la collaborazione del Cresme abbiamo iniziato a sondare e a interpretare. La mia valutazione è che abbiamo fatto un piccolo passo nella direzione della costruzione di quell’Osservatorio sul lavoro nel settore edile che diventa sempre più necessario e che io auspico possa essere costruito e possa consentirci di mettere a disposizione dell’intero sistema bilaterale annualmente un Rapporto ricco di informazioni, ma anche di interpretazioni e orientamenti. La base dati utilizzata in questa iniziale fase di lavoro riguarda 74 Casse Edili, ovvero quelle che entro lo scorso mese di aprile hanno fornito i dati per l’intero periodo preso in considerazione, il quadriennio 1999-2002, ed è relativa sostanzialmente a informazioni sulla composizione demografica (sesso, età, collocazione territoriale) e professionale della manodopera edile. Ciò ha permesso di ricercare alcune risposte su temi da tempo all’esame delle parti sociali. In questo contesto, la Cnce vuole affidare questi dati alla valutazione delle parti sociali di categoria che a breve saranno impegnati nel rinnovo del Contratto nazionale . Edilizia nel 2002: un’industria maschile, con pochi giovani e con una forte dequalificazione Il quadro di sintesi sulla composizione della mano d’opera raffigura l’edilizia come un’industria pressoché totalmente composta da uomini – le donne sono meno dell’0,5%, con una presenza giovanile minoritaria (16.5% del totale) – a forte prevalenza di lavoratori con il più basso livello retributivo. Permane una presenza consistente di lavoratori maturi, con una media anagrafica che sfiora i 37 anni e una tendenza alla dequalificazione. In questo scenario si inserisce il vero fatto nuovo che sta rimettendo in moto il settore: l’immissione di flussi consistenti e crescenti di lavoratori stranieri. Nel 2002 complessivamente la nostra banca dati registra una presenza regolare di stranieri pari all’11%. Qualcosa sta cambiando Tra il 2000 e il 2001 qualche cosa sembra essersi messa in moto. Il 2000, infatti, costituisce l’anno dell’apice del processo di invecchiamento, con un aumento della quota degli ultra sessantenni di oltre un punto percentuale, accompagnato da una crescita parallela degli ultrasessantacinquenni. E’ il 2001 a segnare l’inversione di tendenza, con un leggero calo degli ultra sessantenni e soprattutto della fascia tra i 50 e i 60 anni, a cui corrisponde una ripresa delle fasce mature e un arresto dell’emorragia giovanile. Nel 2002 il processo si consolida e si accentua: leggera ripresa della percentuale dei giovani, soprattutto oltre i 18 anni, piccola crescita (»0.4) delle classi mature e perdita di peso degli ultracinquantenni. Quando i numeri non bastano Non è facile capire che cosa stia avvenendo tra le pieghe della composizione sociale e professionale del popolo dell’edilizia guardando soltanto i numeri, senza andare a vedere sul campo e sondare gli umori, interrogare i protagonisti. Guardando a come si è mossa la composizione anagrafica all’interno dei diversi livelli retributivi e qualificativi si possono vedere alcuni segnali di un certo interesse. Per quanto riguarda l’operaio comune, fino ai cinquanta anni la qualifica è poca cosa. L’operaio comune è in questi anni più giovane e si concentra soprattutto nella fascia tra i 25 e i 36 anni, ma chi supera i 50 è marginale. Le diverse dinamiche territoriali Rispetto alle dinamiche territoriali il Cresme ha identificato alcuni elementi: straniero fa rima con settentrione; il Nord Est è l’area che presenta la percentuale più alta di operai con meno di 25 anni; i lavoratori sono più qualificati e meglio pagati al Nord. Cresce l’attività lavorativa complessiva, calano malattie e infortuni Complessivamente le ore lavorate sono cresciute progressivamente dal 1999 al 2002. Mediamente un lavoratore edile ha lavorato nei quattro anni considerati circa 1.100 ore. Ne ha lavorate di più nel primo biennio, ma nel 2002 la produttività media oraria è risalita. Circa il dato relativo alle ore per infortuni, malattie e altri motivi di assenza, i dati Cnce evidenziano nel quadriennio un leggero calo. Mediamente si è passati dalle 10 ore annue per infortunio del 1999 alle 9 del 2002, con una riduzione del 10%. Più significativa la contrazione delle ore medie per malattia passate dalle 43 del primo anno alle 38 del 2002. La riduzione è stata del 13%. Stabili invece le ore per altri motivi: mediamente si tratta di 3 ore a lavoratore all’anno.
Giuseppe Moscuzza