(Inchiesta a cura di Sara Martano – Conquiste del Lavoro di venerdì 18 maggio 2012)
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Cantieri e fabbriche chiuse, capannoni abbandonati, operai licenziati o in cassa integrazione. E’ la fotografia di ciò che rimane del settore delle costruzioni del Veneto, una volta considerato tra i più ricchi e produttivi d’Italia. Le piccole e piccolissime aziende non hanno retto alla crisi e la maggior parte ha chiuso, quelle più grandi hanno dimezzato le produzioni, le commesse e i lavoratori. Il problema è il medesimo per tutti: mancanza di liquidità. “Fino a qualche anno fa – ci spiega Gianni Pasian, segretario generale della Filca di Venezia – le quaranta aziende del settore del mobile-arredamento in provincia di Venezia lavoravano a pieno ritmo ed era considerato un po’ come un distretto, nonostante non avesse la denominazione ufficiale. Oggi, invece, quando va bene si lavora la metà del tempo e chi è fortunato è in cassa integrazione”.
Come succede alla Record Cucine di Pramaggiore seconda azienda del territorio per numero di addetti, circa 150. Nel 2004 sfornava 100 cucine al giorno. Oggi gli impianti marciano a giorni alterni, a seconda delle commesse e i lavoratori sono in cassa integrazione a rotazione, fino a dicembre. L’azienda sta tentando di tamponare il calo di fatturato passato da 45 milioni di euro a 28 milioni di euro, puntando ai mercati esteri: America, Africa del nord, Arabia, Estremo Oriente. “Non abbiamo alcuna intenzione di delocalizzare – dice il direttore generale Record Cucine, Giuliano Veronelli -. Abbiamo siglato col sindacato un piano di ristrutturazione che prevede la cassa integrazione a rotazione per tutti i dipendenti proprio per-chè vogliamo mantenere l’occupazione che è altamente professionalizzata e vogliamo essere pronti quando il mercato riprenderà”.
In questa azienda i rapporti con il sindacato sono buoni, è stato anche siglato l’integrativo, è il lavoro che manca come ci racconta Sandra Garbin, delegata Rsu Filca Cisl: “Lavoro in questa azienda da 25 anni e non ho visto crisi più grande. Nel corso degli ultimi quattro anni le commesse sono andate sempre più diminuendo e insieme con l’azienda abbiamo dovuto costruire un percorso di flessibilità lavorativa per restare a galla”. “Prima lavoravamo nove ore al giorno, a volte anche il sabato- sottolinea Renata Prataviera, anche lei delegata Rsu -. Da quattro anni, invece, subiamo questa crisi e quest’anno è il più duro di tutti perchè lo stipendio si è decurtato. Cerchiamo di tenere alto il morale anche in azienda, ma non è facile”. Renata e Sandra mi confessano di vivere in uno stato d’angoscia per il futuro perchè nonostante la grande professionalità acquisita “a una certa età – dice Sandra – non è facile cambiare lavoro, e poi oggi non lo trovi più da nessuna parte”. E incalza: “Quello che manca sono soprattutto gli ordini del mercato italiano, è tutto fermo. Lo Stato dovrebbe aiutare sia le aziende in questo momento di crisi, che i cittadini, abbassando le tasse. Perchè è il cittadino che fa l’economia del Paese e se il cittadino non ha soldi da spendere non si riuscirà presto ad uscire dal tunnel”.
Stesso scenario un po’ ovunque. La Sacaim, impresa edile veneziana, è stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Venezia il 13 agosto del 2011 ed oggi è in amministrazione straordinaria. Ha un debito di 145 milioni di euro verso 1.200 creditori. Su 360 dipendenti, 80 sono in cassa integrazione straordinaria, gli altri stanno ultimando le commesse, ma sono in attesa di un piano di riorganizzazione che deciderà sul loro futuro occupazionale. L’incontro con il commissario è previsto per il 5 giugno. I sindacati faranno il possibile per salvare l’occupazione. Il problema è che attualmente è tutto fermo. “Speriamo che prima o poi finisca tutto questo malessere che c’è in giro – incalza Pasian – anche se non è facile fare il salto di qualità per le aziende che comunque devono investire in innovazione e formazione per essere competitive sui nuovi mercati”. Altro problema frequente, soprattutto in periodo di crisi, è il diffondersi del fenomeno del part time e delle partite iva in edilizia.
“Dobbiamo tener presente che il 90% delle imprese del territorio – continua Pasian – è costituito da aziende con meno di tre dipendenti, ma oggi anche nelle imprese più grandi vedi uscire gli operai dalla porta principale con il licenziamento e poi rientrare dalla finestra come partite iva. E’ un problema grave che bisogna affrontare”. Poi ci sono la concorrenza, gli appalti, la legalità in un settore che, secondo i dati dell’Ance regionale, dal 2007 ad oggi ha perso il 30% dei volumi produttivi (circa 6 miliardi di euro) e 33.400 occupati. Oggi ad inasprire la situazione sono anche i lunghi ritardi nei pagamenti per i lavori effettuati. Prima, da parte della pubblica amministrazione che ha un debito verso le imprese edili di 19 miliardi di euro; ora anche dai privati, che non pagano più. E la stretta creditizia delle banche che non erogano più prestiti alle piccole e medie imprese innesca una tremenda spirale per cui anche le aziende sane e corrette sono costrette, per mancanza di liquidità, a licenziare i propri dipendenti e ad interrompere i lavori. Detto tutto ciò ci chiediamo, dov’ è lo Stato?