Non solo sindacato ma anche giovani, istruzione, formazione, comunicazione, etica e legalità: sono i temi trattati dal segretario nazionale della Filca-Cisl, Salvatore Scelfo, in una lunga intervista pubblicata sul bollettino di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro.
LEGGI L’INTERVISTA A SCELFO (sito www.bollettinoadapt.it)
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Salvatore Scelfo
Segretario nazionale Filca Cisl
San Cataldo (Caltanissetta), 1964. A fine 1983 abbandona gli studi di giurisprudenza per partecipare al corso lungo confederale della Cisl presso il Centro studi di Firenze. Nel 2000, viene eletto segretario generale della Filca Cisl di Palermo. Nel luglio 2012, si trasferisce a Roma perché chiamato ricoprire il ruolo di segretario nazionale della Filca Cisl. Per la federazione, ha la responsabilità del Dipartimento Legalità, Giovani ed Immigrati nonché la responsabilità della formazione dei quadri sindacali della categoria e delle politiche organizzative.
Dott. Scelfo, i giovani sono stati definiti come il gruppo più difficile da sindacalizzare. Condivide questa tesi? Cosa rende questo gruppo così complicato da organizzare?
In primo luogo i giovani sono più difficili da sindacalizzare perché meno occupati. L’ingresso stabile nel mondo del lavoro nel nostro Paese si aggira intorno ai 30 anni: in qualche modo anche questo denota una difficoltà per incontrarli. La Cisl, nello specifico la Filca – Federazione Italiana Costruzioni, crea occasioni anche durante la fase scolastica: penso per esempio al Progetto Policoro messo in atto con alcune diocesi per stimolare occasioni di imprenditorialità e lavoro. In generale spesso sono diffidenti ad avvicinarsi perché fanno fatica ad immaginare il proprio futuro, a trovare un’occasione lavorativa. Per quanto riguarda il nostro apporto, io utilizzo questa frase: “Meno sermoni e più esempi che possano essere d’aiuto in questa direzione”.
Considerando queste difficoltà, ritiene sensato che il sindacato impieghi così tanto impegno e sforzo in questo tentativo? Non sarebbe più produttivo focalizzarsi nell’informarli riguardo agli obiettivi e alle attività del sindacato migliorandone l’immagine, come investimento finalizzato alla loro futura affiliazione?
Non credo. Penso invece che tutte le risorse economiche ed umane che possano essere messe in campo per sviluppare iniziative nei loro confronti siano sicuramente positive. I giovani sono il futuro del nostro Paese. Dobbiamo evitare guardino ad altri Paesi, in particolare quelli con un livello culturale medio-alto. In questa direzione noi ci spendiamo tantissimo. Per avvicinarli al mondo del sindacato ad esempio organizziamo ogni anno campi scuola estivi. Partecipano ragazzi provenienti da tutta Italia, tra i 19 e i 29 anni e la sede scelta è sempre simbolica: in Campania nelle terre di Don Peppe, nella Locride, a Riace in Calabria o in Sicilia nei beni confiscati alla mafia di Libera. Luoghi che vivono da vicino temi quali la mafia e la legalità, l’immigrazione e la povertà. Lo facciamo per creareoccasioni di incontro e creare rete, integrazione, riflessione e confronto. In questo modo i giovani stessi hanno un riscontro positivo del sindacato e intravedono la possibilità di essere protagonisti di azioni che incidono nella realtà. Vivere i campi estivi è un modo bello per far vedere che c’è il sindacato e non è solo quello che va sui giornali in seguito ad uno sciopero, ma che è anche una realtà giovane e viva.
Qual è il tasso di sindacalizzazione giovanile all’interno del sindacato? Quello adulto?
Da questo punto di vista l’Italia è a macchia di leopardo: non vi è una circostanza definita né al nord né al sud. In generale il livello di rappresentatività dei giovani è basso rispetto ai lavoratori occupati. Ad esempio noi rappresentiamo oltre il 37 % dei lavoratori del settore mentre nel caso dei giovani arriviamo solo al 10%. Come le dicevo non tanto perché non sono associati, ma perché è basso il loro stesso livello di occupabilità.
A che livello il sindacato riesce ad entrare in contatto con i giovani in maniera più efficace: nazionale, settoriale, locale, aziendale?
L’esperienza più forte è soprattutto quella locale. Noi ci stiamo riorganizzando in questa direzione: rafforzando la prima linea nei luoghi di lavoro, facendo diventare il territorio il presidio fondamentale della nuova esperienza del sindacato. È lì anche che possiamo incontrare ed aggregare anche i giovani. Da un po’ di tempo stiamo girando per il territorio con iniziative mirate: penso a Firenze, dove c’è il Centro Studi di formazione e dove abbiamo organizzato una giornata intitolata Protagonisti della nuova Italia o a Roma dove, con la nuova esperienza di Amico lavoro, cerchiamo di aiutarli nella difficile fase di incontro domanda-offerta di lavoro.
Cosa possono aspettarsi i giovani dal sindacato? Perché dovrebbero iscriversi? E viceversa cosa si può aspettare il sindacato dai giovani e cosa questi possono offrire al sindacato?
Penso che l’esperienza del sindacato debba essere vissuta come un momento associativo, di condivisione di un percorso. Nella società di oggi, dove spesso viviamo la solitudine, la possibilità di vivere in associazione tutti i momenti della vita lavorativa e non solo. Questo è il tipo di esperienza di sindacato a cui penso e che mi permetto di suggerire ai giovani. Per incoraggiarli noi possiamo incrementare azioni di questo tipo e soprattutto evitare di aspettare che vengano da noi ma spostarci noi verso di loro. La Cisl considera i propri iscritti soci, perché ritiene che possa essere un modo per sentirsi più partecipi e protagonisti. All’interno della Cisl vi è un’organizzazione a loro dedicata, la Cisl Giovani gestita da ragazzi e dal loro modo di stare dentro l’organizzazione. Devo dire che in Filca ne abbiamo tanti di giovani protagonisti: al nostro interno oltre il 20% di operatori a pieno tempo è costituito da giovani. Dentro il nostro sindacato è alta l’attenzione ai processi di alternanza scuola-lavoro ed in tal senso la creazione di “Amico Lavoro” è un ulteriore passo verso i giovani.
Le iscrizioni declinanti hanno avviato il sindacato verso un “processo di professionalizzazione”, finalizzato all’offerta di migliori servizi ai loro (potenziali) iscritti. Questo rischia di allontanare ancora di più il sindacato dalle persone più vulnerabili nel mercato del lavoro?
Questo è uno dei più grandi punti di domanda del sindacato odierno. Stando alle statistiche, in Italia il 30% dei lavoratori occupati è sindacalizzato, rispetto gli altri paesi europei dove tocca appena il 7-8%. Abbiamo ancora un tasso elevato di rappresentanza, dobbiamo coniugarla sempre più all’esperienza dei servizi al lavoratore, creando condizioni di welfare nel lavoro. In questo senso, un tema importante su cui dobbiamo intervenire è quello della conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
In un saggio del 1973, Franco Ferrarotti scriveva che storicamente «il compito primario del sindacato era stato quello di trovare lavoro a coloro che ancora non lo avevano, cioè ai disoccupati invece di battersi con decisione per migliorare, dal punto di vista salariale e normativo, le condizioni di coloro che un posto già ce l’avevano». Non trova che oggi la situazione sembra ribaltata?
Al di là della citazione, questa è la difficoltà che viviamo: la possibilità di rappresentare i lavoratori precari così come tutti quelli che in costanza del rapporto di lavoro hanno bisogno di tutele. In questa direzione il sindacato ha tentato di rappresentare la globalità della società seppur con fatica. Noi ad esempio abbiamo di recente fatto una campagna incentrata sul dire “basta all’omertà”, evitiamo la precarietà, diamo prospettive vere. Io che sono nel settore dell’edilizia da tanti anni, posso dire che il nostro mondo è sempre stato precario: il lavoratore edile è il precario per eccellenza. Ci sono persone che hanno fatto di questo un “mestiere”, organizzando la propria vita secondo “meccanismi di precarietà”, magari aiutati in alcuni momenti dal sistema bilaterale come la Cassa Edile. Ma questo è il tema dei nostri giorni: il sindacato dovrà rappresentare questa globalità di soggetti intersecando le generazioni.
Esistono strutture di rappresentanza giovanile all’interno del sindacato? Quali?
Nella nostra organizzazione sono presenti associazioni che aggregano i giovani, per fare in modo che molte delle attività vengano condivise. Gli stessi giovani sono presenti anche negli organi decisionali, così come le donne. Noi siamo molto attenti, infatti, anche al perseguimento di una virtuosa politica di genere . Giovani e donne rappresentano un’opportunità per il sindacato stesso. Un’associazione di rappresentanza non può esimersi dal coinvolgerli.
Negli ultimi 36 mesi, quali sono le principali iniziative che il sindacato ha portato avanti per i giovani?
Innanzitutto, come Cisl abbiamo portato avanti ogni anno il progetto Policoro, che coinvolge circa 360 ragazzi. L’ultima edizione si è svolta a Lecce, nel 2013. Inoltre, per quanto riguarda il nostro settore – l’edilizia – puntiamo molto sull’esperienza dei campi scuola e sulle iniziative di sensibilizzazione alla legalità. Io sono arrivato alla federazione nazionale Filca Cisl da quasi due anni. Mi è stata affidata la delega organizzativa, la responsabilità del Dipartimento Legalità, i giovani ed i lavoratori immigrati, una vera e propria delega sociale, che coinvolge le fasce più deboli dei lavoratori. Tra l’altro, un’iniziativa di cui andare fieri è l’attivazione di percorsi legati alla memoria: un esempio è la visita che abbiamo fatto ad Auschwitz con i nostri ragazzi, accompagnati da un prete e da un filosofo palermitano. Una istituzione come il sindacato deve stimolare la consapevolezza del passato, se si vuole costruire un futuro migliore. Un’altra esperienza, bella anche se molto forte, è stata in Bosnia. Ciò che facciamo viene interamente riportato in apposite pubblicazioni che facciamo stampare, perché sono fermamente convinto che occorra lasciare traccia delle cose che si fanno. Quelle che ho citato sembrerebbero esperienze che esulano dall’attività sindacale, ma in realtà il sindacato in primis non deve chiudersi nella propria fortezza.
Fino a che punto il sindacato dovrebbe diversificare i propri approcci e iniziative per diversi gruppi di giovani (ad esempio giovani lavoratori, giovani apprendisti e in percorsi di tirocinio e formazione in alternanza, giovani studenti etc.)? Questi gruppi hanno diversi interessi a cui il sindacato può rispondere?
Certamente, bisogna puntare sul dare ai giovani – in particolare ai giovani lavoratori – la possibilità di associarsi ad un sindacato che sia in grado di tutelare le loro istanze. Questo implica innanzitutto il garantire di poter vivere a fondo l’esperienza dell’organizzazione, a partire dall’avere a disposizione un luogo fisico dove incontrarsi e confrontarsi.
Che influenza e che ruolo hanno i giovani nel sistema decisionale del sindacato? Il comitato direttivo include giovani?
Si, i giovani fanno parte del sistema decisionale, sono inseriti negli organismi a ciò preposti e possono votare esattamente come tutti gli altri.
Quali sono le principali politiche di reclutamento e mantenimento dei giovani tesserati e i principali canali per diventare giovani attivisti?
Per reclutare i giovani e farli diventare giovani attivisti puntiamo sicuramente molto sui campi scuola e sulle attività svolte nelle scuole. In più, per avvicinarli, ci siamo inventati un fumetto, Le storie di Max, proprio per raccontare ai giovani come cambia il mondo del lavoro, le novità legislative etc… Ancora, un’ulteriore iniziativa è l’organizzazione della Festa Europea della musica, ove sono previsti anche dei momenti di informazione con i giovani.
Ritiene che l’attuale sistema di contrattazione collettiva sia idoneo a rappresentare interessi dei giovani? Quali aspetti dovrebbero essere migliorati?
Premesso che ogni governo, appena si insidia, dichiara di voler mettere mano al sistema di contrattazione collettiva, io ritengo che questa non possa essere considerata una panacea. Anzi, io sostengo che il sistema attuale sia rispondente alle esigenze dei giovani. Serve certamente una maggiore attenzione nei loro confronti, ma è il Paese in primis che deve creare più occasioni di sviluppo. La contrattazione collettiva poi fa la sua parte, come avviene ad esempio nel disciplinare l’apprendistato o la decontribuzione, che favoriscono l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Possiamo perciò affermare che il nostro non solo è un buon sistema di contrattazione collettiva, ma addirittura tra i più avanzati in Europa.
Il TU sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014 prevede la sottomissione del rinnovo del CCNL al voto dei lavoratori coperti dal contratto collettivo. Questa previsione non rischia di aumentare il divario tra chi un contratto di lavoro ce l’ha e chi un contratto collettivo non lo ha proprio mai avuto?
In realtà il Testo Unico della rappresentanza favorisce la consultazione dei lavoratori e già questo garantisce l’affermazione della democrazia all’interno dei luoghi di lavoro. Anzi, la definizione certa delle regole che dovranno rispettare le parti quando stipulano un accordo, è un importante traguardo, non un limite.
Quali istanze porta avanti la contrattazione collettiva a favore dei giovani?
In primis la regolamentazione dei meccanismi di decontribuzione e dell’apprendistato, che fungono da incentivi per l’occupabilità dei giovani.
Ritiene che i giovani risulterebbero più favoriti o penalizzati da un maggiore decentramento della contrattazione collettiva?
I giovani ne risultano favoriti laddove la contrattazione di secondo livello funziona in modo virtuoso. In particolare, il settore dell’edilizia può contare su una contrattazione decentrata, prevalentemente provinciale, molto sviluppata grazie al buon funzionamento del sistema bilaterale.
Il sistema di inquadramento professionale è ancora uno strumento pienamente in grado di rappresentare la mutevole composizione della forza lavoro? I giovani impiegati in nuove professioni, quali quelle legate all’ICT, sono correttamente rappresentati e valorizzati attraverso questo sistema di inquadramento?
Per quel che riguarda il settore dell’edilizia, il sistema d’inquadramento si fonda su figure professionali storiche, quindi c’è poco spazio per figure innovative come quelle che si ravvisano ad esempio in contratti collettivi più dinamici, come il terziario.
Ritiene che esista un problema di comunicazione e “linguaggio” del sindacato?
In generale c’è più difficoltà di comunicazione nel mondo del lavoro. E’ necessario allora, implementare nuove forme di comunicazione, a partire da un sito interattivo e dai social network. In un mondo globalizzato come questo, anche la singola federazione deve aprirsi all’esterno: proprio per essere al passo con i tempi, abbiamo all’interno del nostro organico anche un giornalista professionista. In più, come dicevo, a testimonianza dell’impegno profuso, è bene diffondere anche il materiale cartaceo, tanto che abbiamo addirittura creato una collana editoriale, ove sono approfonditi temi come la legalità, l’etica etc.