Di Enzo Pelle, segretario generale Filca-Cisl nazionale
Negli ultimi due giorni si è detto di tutto su Bonus e Superbonus edilizi, per questo è opportuno fare un po’ di chiarezza. È giunto il momento di sistematizzare questi strumenti economici per dare qualità al costruito; è indispensabile fare in modo che possano svolgere la funzione sociale per cui sono nati. La decisione del Consiglio dei Ministri preoccupa i tanti lavoratori occupati grazie ai cantieri avviati con questi bonus.
Da tempo noi sosteniamo che il bonus 110% non ha riguardato i condomini periferici e le case popolari ad alta densità abitativa: in pratica non ha usufruito dello strumento Superbonus proprio chi aveva più bisogno in termini di sicurezza sismica e sostenibilità energetica e sociale. Una predisposizione così generalizzata dello strumento era prevedibile che avrebbe comportato un dispiego importante di risorse: il 65% circa degli immobili italiani risale a prima del 1974, anno dell’introduzione della norma di prevenzione antisismica. Questo senza connettere il dato alle emissioni di CO2, all’età del cemento armato, alle zone a rischio dissesto idrogeologico.
Il nostro Paese ha importanti risorse da destinare alla rigenerazione, riqualificazione urbana e alla coesione sociale; risorse che possiamo utilizzare per queste casistiche pressoché emergenziali, valorizzando il ruolo delle Autonomie Locali. Gli incentivi edilizi, quando superano determinate percentuali, devono passare a gestione pubblica o almeno in partenariato, non possono essere gestiti dal privato. Si tratta di soldi pubblici che devono servire a qualificare le costruzioni e tutta la filiera.
La stortura più evidente del 110% è che, per gli appalti pubblici, la norma prevede un iter complesso e rigoroso, una trafila estremamente controllata, dalla progettazione ai bandi di gara, dalla catena di responsabilità alla direzione ed esecuzione dei lavori, passando per l’Anac e la Corte dei Conti… e siamo sotto il 100%. I miliardi spesi per il Superbonus, se gestiti come investimenti pubblici, avrebbero prodotto molti più benefici. Questo anche alla luce dell’esperienza di ricostruzione emergenziale sul sisma che coniuga normativa statale in tema di affidamento pubblico e Sistema di relazioni industriali volte alla trasparenza, a fronte di un contributo di certo non elevato come nel caso del Superbonus.
A nostro avviso gli investimenti sull’edilizia popolare possono dare soluzioni per modernizzare le abitazioni delle famiglie meno abbienti, che vivono nelle case popolari, nelle periferie, ma possono anche dare, contemporaneamente, risposte al mondo del lavoro e delle imprese. Non ci stanchiamo di precisare che i bonus dati ai privati, nelle giuste percentuali, sono un investimento per lo Stato e la collettività, perché c’è un consistente ritorno economico, sociale ed ambientale, e nello stesso tempo curano le città e il patrimonio edilizio che è obsoleto energivoro ed inquinante.