“Lo sblocca cantieri non farà ripartire le opere in stallo. Per sbloccare i cantieri servono interventi su più livelli, le sole modifiche sul Codice degli appalti di per sé non sostituiscono politiche industriali, finanziarie ed urbanistiche, di cui c’è invece un assoluto bisogno”. È quanto hanno ribadito i rappresentanti di Feneal Filca Fillea, convocati dalle commissioni Lavori pubblici e Ambiente del Senato nell’ambito dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto “sblocca cantieri”.
Nell’occasione, i sindacati delle costruzioni di Cgil, Cisl, Uil hanno consegnato una memoria contenente le proposte per il rilancio del settore e le proprie valutazioni e richieste di modifica al testo del provvedimento. Le proposte: sistematizzazione degli incentivi; creazione di un Fondo di Garanzia creditizia alimentato dal sistema Bancario e Cassa Depositi e Prestiti per la messa in sicurezza finanziaria, con partecipazioni a medio termine, delle principali imprese del settore che hanno appalti pubblici già aggiudicati, ma problemi di liquidità; premialità negli appalti verdi per l’utilizzo di materiali di costruzioni a forte tasso di innovazione e a basso impatto ambientale; qualificazione delle stazioni appaltanti; norme di raccordo in materia urbanistica per favorire manutenzione profonda e rigenerazione dei quartieri; norme e strutture sussidiarie in materia di dissesto idrogeologico o edilizia scolastica in caso di lentezza o difficoltà di messa in esecuzione da parte di Enti Locali; norme per una maggiore sicurezza/premialità (Patente a punti), per il rispetto dei perimetri contrattuali contro il dumping, per il contrasto al lavoro irregolare.
Sul decreto i sindacati hanno ricordato che di fatto non sbloccherà i cantieri in stallo, come si vorrebbe far credere, ma stabilisce regole per i bandi futuri, che per i sindacati rappresentano un arretramento, a partire dalla minor trasparenza: “le procedure ristrette con esiguo numero di inviti comporta un aumento di discrezionalità delle stazioni appaltanti nella gestione delle gare, e limita il libero accesso delle imprese al mercato degli appalti pubblici a danno della trasparenza dei procedimenti e del contrasto ai fenomeni corruttivi”, spiegano i sindacati, contrari anche al ritorno del massimo ribasso. “Oltre ad apparire in netto contrasto con le determinazioni comunitarie – spiegano – ripropone uno degli elementi che maggiormente hanno determinato il fallimento degli impianti normativi previgenti in tema di qualità delle opere, di tempi e costi di realizzazione, di qualificazione di impresa nonché di tutela dei diritti dei lavoratori.”
Contrari anche alle modifiche previste in ordine al subappalto, che “appaiono fortemente lesive delle tutele e delle garanzie dei lavoratori, perché con il subappalto aumenta il ricorso al dumping contrattuale”, e contrari alla possibilità che i Comuni non capoluogo siano stazioni appaltanti per appalti anche di medie e grandi dimensioni, perché “oltre a non considerare l’attuale stato organizzativo dei Comuni, nega la strategia finora portata avanti di qualificazione e aggregazione delle stazioni appaltanti a vantaggio di una maggiore efficienza e trasparenza.”
Forti dubbi anche sul ruolo dei Commissari di nomina governativa, che per i sindacati debbono essere “figure aventi funzione di coordinamento e facilitazione, sul modello del Terzo Valico o del Brennero”; preoccupazione viene infine espressa sia per l’idea di “tornare ad un Regolamento attuativo della norma per i tempi che tale processo potrebbe richiedere in contrasto con l’urgenza di avere quanto prima una normativa applicativa”, che sulle norme specifiche introdotte nel decreto per accelerare la ricostruzione del Centro Italia.