Rischiare di chiudere i battenti nonostante un credito di 40 milioni di euro a titolo di riserve e premi di accelerazione vantato nei confronti di diverse amministrazioni pubbliche, come il Comune di Roma, l’Autorità Portuale di Genova, l’Anas e il Comune di Palermo/RFI. È la paradossale situazione della Tecnis di Catania, 500 dipendenti, società leader nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali su tutto il territorio nazionale. Oggi l’azienda sta vivendo un momento di gravissima carenza di liquidità, che ne mette seriamente a rischio il futuro con ripercussioni non solo occupazionali ma anche ‘sociali’, visto che l’azienda ha numerosi e importanti cantieri aperti in tutta Italia. Una vicenda che ha davvero dell’incredibile e che i sindacati dell’edilizia stanno cercando di risolvere tra mille difficoltà.
“La nostra priorità – spiega Barbara Cerutti, della Filca-Cisl nazionale – è tutelare l’occupazione: non solo i 500 dipendenti diretti ma anche tutto l’indotto, che è pari a circa 3.000 unità. Parliamo di manodopera qualificata e professionalizzata che sarebbe davvero un delitto disperdere. È per questo che abbiamo messo in campo tutte le azioni per salvare questa che è la più significativa realtà produttiva del settore in Sicilia e nel Mezzogiorno”. La Tecnis nel 2016 è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria; circa un mese fa il Tribunale di Catania ne ha notificato il dissequestro, con il conseguente venir meno di quell’insieme di ‘protezioni’ di legge previste dalla procedura. “Recentemente – spiega Cerutti – l’azienda ha visto un progressivo aggravarsi della sua capacità operativa che, se non affrontata adeguatamente e in tempi molto rapidi, potrebbe compromettere la stessa continuità aziendale. Oltre al dramma sociale per le famiglie coinvolte la conseguenza sarebbe anche il blocco delle opere attualmente in esecuzione, lavori strategici come l’adeguamento di via Tiburtina a Roma, la realizzazione della metropolitana di Catania e del nuovo ospedale della città etnea, la realizzazione della metropolitana di Palermo, oltre che i lavori nell’area del Cratere del terremoto presso Micigliano, in provincia di Rieti. Come facilmente immaginabile, la riscossione dei crediti consentirebbe all’impresa di riavviare un ciclo di funzionamento normalizzato, cui dovrebbe poi contribuire anche il sistema bancario secondo standard di mercato. Ma ad oggi tutti i tentativi di recuperare le somme si sono rivelate inutili. Non è riuscito l’amministratore giudiziario Saverio Ruperto, e non riesce nell’intento neanche Luca Egidi, il neo nominato Amministratore Unico. Un eventuale default, che è ancora evitabile – sottolinea la sindacalista della Filca – si tradurrebbe non solo in un gravissimo problema sociale, ma anche in un indubbio danno per tutti gli altri soggetti coinvolti: erario, fornitori, banche, amministrazioni committenti. Questi ultimi, ovviamente, prima o poi dovranno comunque versare gli importi, anche nel caso di procedure concorsuali. È per tutti questi motivi che esortiamo il governo ad attivarsi, evitando così di portare al fallimento un colosso del Sud da 500 dipendenti e qualifiche importanti. Non chiediamo salvataggi pubblici, ma solo la moral suasion agli enti debitori. Tra l’altro basterebbero accordi transattivi con le Pa coinvolte, anche con pagamento rateale. Le banche si sono già dette disponibili ad anticipare la liquidità”.
Per tenere viva l’attenzione su questa tormentata vicenda il 12 maggio i sindacati hanno organizzato un presidio in via Molise, presso il Mise. Sono attesi centinaia di lavoratori da tutta Italia, sui quali non possono e non devono ricadere le conseguenze di questo paradosso tutto italiano.