Per centinaia di migliaia di lavoratori doveva essere l’occasione per il riscatto sociale, il sogno avverato di un futuro migliore. Ma gli edili impegnati nei lavori per i Mondiali di Calcio del 2022 in Qatar stanno letteralmente vivendo un incubo: paghe da fame, riduzione in schiavitù, condizioni atmosferiche proibitive. Arrivati per lo più da India, Bangladesh e Nepal, questi lavoratori migranti costituiscono il 99% della forza lavoro impiegata in Qatar, la nazione con il più alto Pil pro capite al mondo. Qui il contrasto tra la ricchezza e la povertà si fa ancora più marcato, più stridente. Nei numerosi viaggi delle delegazioni sindacali è stato non solo difficile ma addirittura rischioso avvicinarsi ai lavoratori, ascoltare le loro parole. La mancanza di dignità non è riscontrabile solo sui cantieri, ma anche negli alloggi: angusti, sporchi, infestati dagli scarafaggi.
Di seguito vi proponiamo le testimonianze di Samar Singh Lama e di Aai Bahadur Khatri, due lavoratori edili del Nepal che dopo la terribile avventura in Qatar sono diventati attivisti del sindacato nepalese delle costruzioni.
“Ho lavorato 46 ore senza interruzione”
Samar Singh Lama ha lasciato il Nepal per il Qatar nel 2007. “Ho due figli e una moglie e auguro il meglio per loro, questa è la ragione per cui ho dovuto cercare un salario migliore”, ha detto ai sindacalisti italiani. A procacciargli il lavoro è stato un suo familiare, che lo ha presentato ad alcuni imprenditori. È partito per il Qatar senza aver chiaro quali fossero i contenuti del contratto, senza firmare nulla, nonostante in Nepal fosse stato anche membro del Cuppec, il sindacato dei lavoratori edili. “Purtroppo non ho pensato di informarli prima di partire”, ha ammesso candidamente. All’arrivo Samar ha ottenuto un lavoro alla Amtc, una delle principali imprese di costruzione in Qatar. Arrivato al campo di lavoro, ha scoperto di dover condividere una stanza con 16 persone, e un bagno con 32 persone. Il problema principale però era il caldo. “Faceva così caldo, senza aria condizionata o ventilatore, che la temperatura spesso superava i 40 gradi. Una volta mi sarei dovuto recare in ospedale per un principio di disidratazione, ma siccome la società non intendeva pagarmi le spese di viaggio e quelle mediche, ho lasciato perdere e sono rimasto nel mio alloggio. Dopo tre mesi di lavoro non avevo ancora ricevuto il mio primo stipendio: 14 ore al giorno per 90 giorni senza essere pagato, senza un solo giorno di riposo. Una volta ho lavorato per 46 ore senza pausa”. Samar ha anche rischiato il licenziamento, quando ha “osato” lamentarsi con uno dei supervisori del cantiere per le troppe ore di lavoro. Quando è tornato in cantiere, un uomo dell’azienda lo aspettava con un biglietto di ritorno in mano, volevano rispedirlo subito in Nepal. Solo le intercessioni dell’ambasciatore nepalese e della polizia locale lo hanno salvato. Ma la società non ha aumentato il salario né ha migliorato le condizioni di lavoro e di alloggio. “Dopo il ritorno dal Qatar in Nepal ha iniziato a lavorare con il sindacato nepalese delle costruzioni, il nostro obiettivo è quello di sostenere altri lavoratori migranti, di essere per loro un punto di riferimento, una speranza. La dignità dei lavoratori è la nostra priorità!”.
“Con 20 colleghi dividevo una stanza ed un bagno”
Sette anni fa Aai Bahadur Khatri è andato in Qatar per lavorare, ma come molti altri lavoratori migranti nepalesi, non ha mai ottenuto lo stipendio che gli era stato promesso nel contratto di lavoro. “Lavoravo 8 ore al giorno, per una paga concordata di 800 riyal al mese (circa 220 euro) al mese. Solo in un secondo momento ho scoperto che le ore erano 12 al giorno, con punte fino a 18, e chge la paga era più bassa, ammontava a circa 180 euro al mese “, ha raccontato Aai Bahadur Khatri. “Con altri 20 colleghi dividevo una stanza ed un bagno, nella camera c’era un caldo asfissiante. Alcuni di noi dovevano svegliarsi alle 4 del mattino per essere pronti, perché un solo bagno per 20 persone è davvero un disagio”. Molti lavoratori come Aai Bahadur Khatri sono vincolati dal contratto ed hanno avuto enormi prestiti, che li costringono a rimanere in Qatar a lavorare. “Si tratta di un vero e proprio lavoro forzato: il sistema Kafala, vigente in Qatar, non ci permette di lasciare il Paese nemmeno dopo la scadenza del contratto. Per tornare a casa abbiamo dovuto aspettare il permesso di uscita, che solo il datore di lavoro può concedere”. Dopo questa esperienza terribile Aai Bahadur Khatri ha deciso di impegnarsi nel sindacato, diventando un membro attivo di Gefont e Cuppec (sindacati edili nepalesi) per migliorare i diritti dei lavoratori migranti.