Il 27 novembre scorso, a partire dalle ore 9.30, davanti al Lingotto Fiere di Torino – in occasione del salone delle costruzioni Restructura – si è svolto un presidio regionale dei sindacati degli edili, Fillea Cgil – Filca Cisl – Feneal Uil Piemonte, in occasione della giornata di mobilitazione nazionale del settore delle costruzioni.
Per quanto riguarda il Piemonte, il settore edile e dell’indotto è in crisi nera: negli ultimi sei anni, dall’inizio della crisi nel 2008, in questa regione si sono persi oltre 40.000 posti di lavoro. Il trend oggi è negativo, con una previsione di perdita per il 2014 pari ad un ulteriore 15%. In pratica, dal 2008, si è perso il 50% degli addetti del settore e dell’indotto.
Se consideriamo i dati del 2013 riguardanti il Piemonte, gli investimenti sia privati che pubblici per abitazioni sono calati di oltre il 15%, con punte anche del 30%, mentre gli investimenti per infrastrutture sono ulteriormente calati del 40%: questi dati fanno ben comprendere anche la diminuzione dell’occupazione e delle ore lavorate, confermate dai dati delle casse integrazioni e dalle ore registrate nelle casse edili.
“È come se in Piemonte – dicono i segretari regionali di Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, Lucio Reggiori, Piero Donnola e Giuseppe Manta – negli ultimi due anni, avessero chiuso 5 stabilimenti delle dimensioni della Fiat di Mirafiori. Nella sola provincia di Torino, si sono persi posti di lavoro pari agli occupati della Fiat di Mirafiori, oltre 6.000 lavoratori, ed hanno chiuso centinaia di medie e piccole aziende, molte delle quali per fallimento (i dati del contatore Cerved – Il Sole 24 Ore, lo confermano). Praticamente, oggi l’edilizia ed il suo indotto sono drasticamente dimezzati, è un disastro anche per l’economia piemontese, visto che il settore non può svolgere quella funzione anti-ciclica propria per favorire la ripresa”.
Attualmente c’è pochissimo lavoro, spesso acquisito a prezzi stracciati da imprese irregolari che aprono e chiudono in poco tempo, con forme di nero, grigio, elusione, concorrenza sleale che caccia dal mercato le imprese corrette, con comportamenti illeciti, sub affidamenti a catena, uso di pseudo lavoratori autonomi, senza formazione, qualità del prodotto, tutela del lavoro: basti pensare al crescente numero delle partite IVA o pseudo lavoratori autonomi che si aggira attorno alle 30.000 unità.
Il problema è la difficoltà a “fare sistema” e in alcuni casi a utilizzare le sinergie da parte delle aziende del territorio per l’aggiudicazione dei lavori. Oggi esistono nel settore gravi problemi di
irregolarità, illegalità e di mancata sicurezza sul lavoro che devono essere affrontati in sinergia tra tutti i soggetti interessati.
In questo panorama sconfortante esistono comunque dei punti di forza: ci sono aziende con elevate professionalità, con volontà e capacità di reazione abbastanza buone, lavoratori professionalizzati in gran parte ancora dipendenti delle aziende, sistema della bilateralità che tiene ed interviene nelle materie di propria competenza.
Il sindacato ha da tempo avanzato proposte per uscire dalla crisi: si potrebbe ulteriormente allentare o togliere il patto di stabilità, finalizzato al pagamento delle imprese per i lavori effettuati, ben oltre il decreto di pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, per evitare ulteriori situazioni fallimentari.
Inoltre occorrerebbe dare inizio ai lavori già appaltati, ma che sono fermi per il blocco dei finanziamenti o per il patto di stabilità, a partire dalla elaborazione e predisposizione di un vero piano delle opere a livello regionale e provinciale, frutto dei tavoli aperti o che si apriranno e dei patti già realizzati.
Si potrebbero creare molti posti di lavoro, con la manutenzione e la messa in sicurezza delle scuole (oltre al recente decreto), degli edifici pubblici, si potrebbe concretizzare una serie di aperture di piccoli cantieri per centinaia di occupati, evitando situazioni di rischio e maggiori successivi costi.
Per non parlare del piano di riassetto idrogeologico e manutenzione del territorio, a partire da una regione come il Piemonte che ha un vasta area montana, oggetto delle varie alluvioni nelle scorse settimane e negli ultimi quindici anni, con conseguenze ben visibili ancora oggi e situazioni di rischio non scongiurate, come esondazioni e movimenti franosi.
Con un patrimonio stimato di oltre 100.000 alloggi vuoti in Piemonte, non sarebbe utile mettere in moto scelte politiche che portino all’utilizzo di questo patrimonio, attraverso le ristrutturazioni o le agevolazioni fiscali e/o contributi all’affitto ?
Infine, sarebbe necessaria una nuova proposta per l’utilizzo delle aree edificate ed oggi dismesse, come le molte aree industriali o artigianali, anche attraverso la rigenerazione o il cambio di destinazione d’uso.
“L’impegno comune di Fillea Filca Feneal – concludono i segretari regionali, Reggiori, Donnola e Manta – è di lavorare perché questa prospettiva prenda piede, per invertire la curva dell’occupazione e arrivare a 20 mila posto di lavoro a regime nella riqualificazione e manutenzione dell’enorme patrimonio edilizio piemontese, che possono arrivare addirittura a 30 mila, considerando tutto l’indotto della filiera delle costruzioni”.