La Filca Cisl e la Fai Cisl della Lombardia hanno proseguito il percorso verso l’unificazione con una due giorni di riflessione su responsabilità sociale e nuovi paradigmi del ruolo sindacale nel territorio.
Presenti al tavolo di presidenza, oltre ai due segretari generali lombardi delle Federazioni Filca e Fai, Battista Villa e Attilio Cornelli, Claudio Risso, della Segreteria Nazionale della Fai Cisl e il Professor Giuseppe Argiolas, docente all’università di Cagliari e dell’università Sophia di Loppiano FI, esperto della responsabilità sociale delle organizzazioni.
“Dobbiamo mettere insieme due grandi storie – ha detto Villa nella sua relazione – innanzitutto umane e sindacali, ma anche sociali e democratiche, con i loro pregi e difetti, con le loro peculiarità e buone pratiche negoziali e contrattuali, di partecipazione alle scelte strategiche delle aziende per un cambio di modello economico, oltre che del modello sindacale della bilateralità per dei settori frammentati e dispersi nel territorio, come l’edilizia e l’agricoltura. Servono proposte di costruzione di un nuovo modello sociale innanzi tutto, capace di aggregare tutte le forze riformatrici che abbiano nel proprio DNA la promozione e la tutela della persona umana e non dell’individuo; serve una stagione nuova della contrattazione territoriale, una “contrattazione di prossimità” delle comunità ricostruite che porti ad un nuovo modello sociale territoriale. (leggi la relazione di Villa)
“In questo quadro, la dotazione sindacale per la contrattazione di una specifica riforma del welfare e del mondo del lavoro, deve necessariamente comprendere la responsabilità sociale del territorio: responsabilità sociale delle imprese, orientamento sociale delle imprese, delle associazioni di imprese, responsabilità sociale della filiera del credito, rendicontazione sociale della politica e degli enti territoriali, responsabilità sociale contro la corruzione e la criminalità nel mondo del lavoro e nelle comunità, una nuova cura per la responsabilità sociale della bilateralità organizzata e infine, con particolare attenzione, una nuova accountability della responsabilità sociale del sindacato stesso”.
E’ seguita subito dopo la “lezione sociale” del prof. Giuseppe Argiolas, tratteggiando così tre aree di interesse maggiore per il mondo del lavoro: la crisi, l’impresa e il cambiamento, la responsabilità sociale e l’orientamento sociale.
La crisi non può considerarsi esclusivamente legata ai fenomeni ultimi del fallimento della Lehman Brothers, ma occorre almeno portare la sua origine al crollo del muro di Berlino. Tuttavia entrambi i fatti storici hanno determinato e reso evidente la dissoluzione dei legami sociali. Quindi l’esistenza di un modello economico dall’avidità e dell’indifferenza; con il monopolio culturale del capitalismo si è determinata l’alterazione dei concetti di felicità e di consumo, dove il primo viene soffocato dal secondo. Quindi attraverso precise scelte politiche la finanza si è via via distanziata dall’economia reale, coinvolgendo oltre ai mercati di fatto anche la vita concreta delle persone e delle nazioni. Così si determina pericolosamente un criterio riduzionista, che inevitabilmente può portare alla replica del medesimo pericoloso modello economico finanziario. La crisi del capitalismo finanziario ha determinato anche lo sprofondamento in una notte collettiva e culturale delle coscienze, laddove è anche possibile vedere meglio, più profondamente e quindi l’infinito.
In questa fase è indispensabile l’orientamento e come fare per seguire la rotta, tenendo presente e non temendo gli elementi estroversi della competizione e della concorrenza produttiva. Serve una relazione stretta col cliente, oggi chiamiamo questo di consumo dittatoriale, attraverso il marketing e poi influenzando “l’ambiente”, ovvero gli stakeholder. Ed oggi, sempre di più occorre tenere presente la globalizzazione, la complessità e la conoscenza, sia per fare impresa che per fare welfare. Per governare questo serve una nuova conoscenza, ovvero una consapevolezza molteplice, di gruppo, di affinità e di integrazione fra differenti sensibilità. Quindi la responsabilità sociale d’impresa può sintetizzarsi se l’impresa investe in capitale umano, nel risparmio energetico e nella relazione con gli stakeholder, oppure più sinteticamente nel grado di impatto – positivo o negativo – nella comunità in cui opera a prescindere la dimensione del mercato dei prodotti dell’impresa stessa. Quindi non si deve confondere la responsabilità sociale con le buone azioni saltuarie, ma occorre costruire un sistema che aiuti le imprese ad avere un orientamento completo, arricchito di tutti gli elementi sociali significativi e dei valori condivisi. Pertanto per sviluppare la crescita occorre che sia sostenuta da sostenibilità, intelligenza e inclusione come indica chiaramente il documento quadro del FSE 2014 – 2020. Quindi serve innanzi tutto un’innovazione sociale, soprattutto per il mantenimento in vita del sindacato stesso, soprattutto ancora se le imprese tardano a cambiare il modello paradigmatico socio economico: il sindacato ha la responsabilità doppia, verso la persona e il mantenimento qualitativo positivo e proiettato nel futuro del territorio, divenendo così il cuore pulsante della società civile, essendo quindi globali e locali insieme. Passando così dal modello economico del profitto al modello innovativo dell’economia del con-senso, dell’economia del senso condiviso, con un nuovo patto tra le parti sociali, tra il sindacato che si rinnova e innova e le imprese” – così ha tratteggiato il panorama attuale e ha dato gli spunti di prospettiva il Professor Giuseppe Argiolas.
Tanti gli interventi dei componenti dei consigli generali congiunti, con diverse note di attenzione alle diverse forme di responsabilità, dalla bilateralità – da ampliare agli attori del territorio – e al contrario dell’inaccettabile irresponsabilità degli stipendi dei manager – da abbassare inesorabilmente – e fino alla difficile condizione di chi tratta e contratta in tempo di crisi, con le eteree proprietà rappresentate da amministratori incaricati di fare esclusivamente profitti. Tanti i temi e gli spunti evidenziati nel dibattito, anche la fatica del sindacato ad assumere le innovazioni determinate dalle diverse condizioni della società e della storia quotidiana. Alla fine della prima giornata, il segretario nazionale della Fai Cisl Claudio Risso ha evidenziato che la prossima “fusione” tra le due categorie sindacali non è solamente un atto amministrativo, ma può rappresentare l’inizio di una nuova stagione di attenzione contrattuale e sindacale, un New Deal della responsabilità sociale diffusa e territoriale, utile al progresso di un’economia civile e non solamente al profitto del mercato.
Ad aprire la seconda giornata di lavori dei Consigli Generali uniti della Filca e Fai della Lombardia, alla presenza di Flavio Sangalli, professore all’università Bicocca di Milano, e di Domenico Pesenti, segretario generale nazionale della Filca Cisl, Attilio Cornelli ha sottolineato: “Serve un baricentro sindacale sempre più spostato sul territorio, per essere all’altezza delle sfide complesse e ambiziose che una società in grande cambiamento. (leggi la relazione di Cornelli)
“I documenti che ci orientano sono le delibere congressuali di entrambe le Federazioni e le conclusioni dei Consigli nazionali congiunti tenutisi a Roma il 13 novembre 2013, che hanno sostanzialmente avviato il processo di unificazione impegnando le strutture nazionali a costituire entro giugno 2014, una Struttura associativa che assuma il nome della futura Federazione e che divenga il punto di riferimento di tutte le attività che Fai e Filca andranno a realizzare rendendo visibile la progressiva integrazione fino alla costituzione del nuovo sindacato. Alla base della felice intuizione e della scelta delle due federazioni certamente annoveriamo la sostanziale omogeneità culturale nel pensare e fare sindacato, il forte radicamento territoriale ed i più avanzati e consolidati modelli di contrattazione e bilateralità provinciale e regionale; dimensione della contrattazione di secondo livello territoriale che a fianco di quella aziendale e dei grandi gruppi esalta concretamente quel principio di sussidiarietà, a noi tanto caro. Siamo consapevoli che sulla filiera bosco-legno le nostre potenzialità di orientare e qualificare lo sviluppo si moltiplicheranno, così come centrale dovrebbe essere il nostro ruolo nelle aree di massima priorità del Governo Renzi, che ha istituito due Unità di missione con fondi immediatamente spendibili per la riduzione dei rischi idrogeologici e la riqualificazione dell’edilizia scolastica. Dovremo essere capaci di assemblare in un disegno organico salvaguardando e valorizzando, con appositi strumenti, tutte le specificità professionali e contrattuali oggi presenti in entrambe le federazioni, valorizzando le molte eccellenze negli strumenti già oggi in campo sia a livello nazionale che regionale e territoriale. Penso alle aree della formazione, della ricerca, dell’informazione, penso alle potenzialità di relazione e di prospettiva del Centro Studi Sociali contro le mafie Progetto San Francesco. Certo che non vogliamo limitarci ad una sommatoria razionale, bensì cogliere l’occasione per resettare il nostro modo di essere, agire, relazionarsi”.
A seguito dell’introduzione di Cornelli, un intervento a largo raggio del Professor Flavio Sangalli, esperto di metodologie di analisi e innovazione delle organizzazioni di rappresentanza, utile ad evidenziare talune aree tematiche: il problema della della capacità realizzativa, la creazione del valore aggiunto percepito, la visione futura del paradigma sindacale, il nuovo approccio gestionale del sindacato, il modello di eccellenza delle associazioni di rappresentanza, il piano realizzativo partecipato per il sindacato innovativo.
Anche durante questa seconda giornata molti gli interventi dei dirigenti e dei delegati sindacali componenti i due consigli generali congiunti hanno sottolineato le opportunità ma anche i limiti e i rischi da non correre per realizzare la nuova stagione di unificazione sindacale.
“Innanzi tutto deve e dovrà essere chiaro perché abbiamo deciso di unificare due Federazioni sindacali come la Filca e la Fai. Tale immediata risposta si trova nella necessità e nell’evidenza di una volontà solida di protagonismo sociale, forti abbastanza per costruire il nostro futuro insieme alla Confederazione, primo sindacato in Italia a volere e attuare la riorganizzazione più attuale politicamente. Questo sta portando a far diventare la Cisl con le sue Federazioni il primo sindacato in Italia, capaci come siamo e dobbiamo essere di lavorare insieme senza guardare ai ruoli od alle “stellette”. Già siamo capaci di essere molteplici e multi specializzati, dalle piccole imprese alle multinazionali seguiamo i lavoratori, tanto nel settore industriale delle costruzioni come anche nel comparto agroalimentare. Dobbiamo ricostruire democrazia e comunità in questo Paese e siamo forti abbastanza per passare all’attacco e non solamente difendere e difendersi, perché questo ci è chiesto dalla realtà che viviamo e dalla Cisl stessa” – così Domenico Pesenti avviando le conclusioni della due giorni di riflessione – “Questo sapremo farlo per il rispetto che abbiamo e dobbiamo avere verso i nostri soci, ricostruendo i collegamenti tra le persone, anche attraverso associazioni di nostra diretta emanazione. Dobbiamo puntare a sviluppare al meglio la nostra esperienza dello strumento di bilateralità, regionalizzando e realizzando un piano di servizi con al centro appunto questi istituti. Già a fine giungo e inizio giugno avranno luogo i consigli generali uniti e poi entro il 2014 si saranno fatti tutti i passaggi necessari per meglio lavorare insieme. Ma prima di pensare a collocare la classe dirigente occorre costruire la nuova federazione come esempio di progetto collettivo, che non è fatta per il mantenimento dei ruoli ma per avere più sindacalisti nel territorio e nei luoghi di lavoro. L’edilizia non sarà mai più quella di prima, piuttosto dovrà essere edilizia di manutenzione, di tutela del costruito e della sicurezza complessiva degli edifici e del territorio stesso, e nel senso sociale si può dire che dobbiamo far percepire quanto sia nobile e qualificante – nella capacità e nella qualità – fare il muratore e il contadino, rivalutandone anche il profilo di trattamento economico e certamente un’adeguata età pensionistica. Questo rafforza il protagonismo confederale, ovvero il sindacato del territorio sarà direttamente protagonista nella programmazione delle politiche industriali e di welfare, insieme per dare più forza ai più deboli e per stare uniti nell’organizzazione in cui militiamo, grazie ai sacrifici di chi rinuncia ad una parte del salario e dell’assegno di disoccupazione e a loro dobbiamo il rispetto e tutto il nostro impegno”.