Ci vorrebbe una nuova Camaldoli. Se ne discute da anni e l’esigenza riemerge ciclicamente, come un fiume carsico. E più la crisi mostra le tante sfaccettature che la compongono più questa esigenza si fa pressante. Almeno per chi sa cosa ha significato Camaldoli per il nostro Paese. L’eremo in provincia di Arezzo evoca infatti la ricostruzione realizzata nel dopoguerra ad opera della Dc sulla base di un progetto sociale, economico e istituzionale (noto come Codice di Camaldoli) elaborato nel luglio del 1943 da un gruppo di intellettuali cattolici tra i quali Vittorino Veronese, Giorgio La Pira, Guido Gonella, Sergio Paronetto, Ezio Vanoni, Mario Ferrari Aggradi, Giuseppe Capograssi, Ludovico Montini, Angela Gotelli, Gesualdo Nosengo, Orio Giacchi, ai quali poi si aggiungono altri come Pasquale Saraceno e Paolo EmilioTaviani. Nomi oggi quasi totalmente dimenticati che però posero le basi culturali ed etiche, e di fatto pratiche, per la rinascita del Paese. Roba vecchia, direbbe oggi qualche giovanotto, ma roba di altissima qualità che in gran parte resiste all’usura del tempo. Perciò l’iniziativa promossa ieri a Roma dalla Fai-Cisl con la Fondazione Fisba-Fat, “Ricordare il codice di Camaldoli per rilanciare il Paese” ha un sapore evocativo che va al di là dell’amarcord.
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Ascoltando Augusto Cianfoni e Albino Gorini, Francesco Bonini, Alberto Cova e Giuseppe De Rita, Sebastiano Fadda e Pierpaolo Baretta, Maurizio Petriccioli, Domenico Pesenti e Raffaele Bonanni non solo si è ricavata la sensazione dell’utilità di una iniziativa di quel genere, pur tra tante difficoltà contingenti, ma anche l’urgente bisogno di un lavoro analogo, per dirla con le parole di Bonanni, realizzato da “persone ispirate che operino per il bene del Paese, guardando oltre il teatrino quotidiano della politica”. E questo, proprio nel momento in cui un gruppo di intellettuali cattolici, che provengono dalle stesse radici che generarono Camaldoli, si è già messo in moto da oltre un anno, nel silenzio, per lavorare ad un progetto condiviso per il futuro del Paese. Qualcosa, insomma, si muove.
“Quello che ha spinto queste persone straordinarie a scrivere il Codice – ha detto Pesenti nel corso del suo intervento – è il desiderio di elaborare un progetto per ricostruire il Paese e la società, che uscivano da una situazione difficile. Oggi è rimasto il sindacato a discutere su questo, perché da 20 anni nessun gruppo politico ha dato continuità a quella esperienza. Io credo che per fare le riforme bisogna mettere al centro le persone, e non i conti. Non si devono usare i bilanci per prendere le decisioni. Le aziende devono produrre reddito ma devono tener conto della dignità delle persone, tutto deve essere compiuto nell’interesse delle persone. In quel periodo, metà anni ’40, la legge elettorale in vigore teneva conto del cittadino, che poteva scegliere i propri rappresentanti. Oggi invece, la discussione sulla legge elettorale è assolutamente sbagliata. Noi come sindacato dovremmo fare una riflessione profonda sulle elezioni europee, per fare in modo che i nostri associati riflettano su cosa vuol dire Europa e cosa può succedere se vincono i populismi, le forze nazionaliste di ogni Paese. Già in quel periodo tre grandi statisti avevano pensato all’idea politica dello stare insieme in Europa, una scelta saggia che che ha garantito pace, benessere, sviluppo e diritti sociali e civili. Oggi si sente l’esigenza di una nuova Camaldoli per ritornare a discutere nell’interesse di tutti, per avere coesione sociale, partecipazione, nuovo sviluppo anche economico. Noi in edilizia abbiamo l’esperienza degli Enti bilaterali, nati nell’immediato dopoguerra, che servivano alle parti sociali, imprenditori e rappresentanti dei lavoratori, per garantire la tutela delle imprese serie e dei lavoratori stessi, con l’applicazione corretta del contratto nazionale per tutti gli addetti. Se siamo capaci di costruire elementi di coesione sociale e di rispetto delle norme, dei contratti, creiamo anche legalità nel mondo del lavoro, regolarità, contribuiamo a realizzare un mercato sano. Il sindacato – ha concluso il segretario generale della Filca – è uno dei pochi strumenti che resiste per fare un grande progetto per il Paese, per fare coesione sociale”.