Grandi opere, grandi incompiute. Secondo l’ottavo rapporto sulla legge obiettivo, realizzato dal Servizio studi della Camera in collaborazione con l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e il Cresme, solo il 13% delle Grandi opere sarebbe stato completato. A 12 anni dall’approvazione della legge obiettivo, le opere il cui progetto sia stato approvato dal Cipe restano ferme al 38% del totale del programma, la copertura finanziaria al 44% (sono in ballo ben 163 miliardi di euro), mentre sono in aumento i finanziamenti privati (da 53 a 57 miliardi). Il rapporto, presentato in commissione Ambiente della Camera, evidenzia come negli anni ci siano state modifiche anche sostanziali del programma delle opere: è stato escluso il Ponte sullo Stretto e sono stati definanziati sia il Mose di Venezia che il Terzo Valico. E invece è stata inserita la realizzazione di piccoli interventi, come quelli previsti dal programma dei 6mila campanili.
“Le grandi opere sono indispensabili per recuperare il gap di competitività del Paese – dichiara Domenico Pesenti, segretario generale della Filca-Cisl – ed il ritardo accumulato nella realizzazione e nel completamento delle opere non ci sorprende, visti i tempi lunghissimi della burocrazia italiana. Ma assieme alla necessità di velocizzare la cantierizzazione di queste opere – sottolinea – è opportuno aprire anche cantieri medio-piccoli, indispensabili per migliorare la qualità della vita nei comuni non popolosi. Penso al programma dei 6mila campanili, che ha il merito di mettere in moto l’economia locale di Comuni molto piccoli per opere infrastrutturali di entità limitata, tra i 500mila euro e il milione. Si tratta di interventi utili alla riqualificazione del territorio ed alla sua messa in sicurezza, una priorità da sempre sostenuta dalla Filca e sempre attuale, visti gli ingenti danni, anche con il sacrificio di vite umane, provocati da fenomeni atmosferici e da eventi tellurici. Il grande successo del programma – spiega il segretario generale della Filca – è giustificabile anche dal fatto che c’è l’assegnazione diretta dell’appalto, senza intermediari. Nelle Grandi opere, invece, il general contractor si aggiudica l’appalto per poi ricorrere al subappalto a catena. Una pratica che costringe i subappaltatori a risparmiare per stare nei costi, e questo va sempre a scapito dei lavoratori, sia dal punto di vista retributivo che della sicurezza”.
Nel programma delle Grandi opere il 95% dei costi (e il 57% delle opere) è riconducibile alle infrastrutture per il trasporto (strade, ferrovie, metropolitane, porti, aeroporti, interporti). Rispetto al costo dell’intero Programma le opere stradali rappresentano il 48% del totale, pari a circa 178,5 miliardi; le opere ferroviarie rappresentano il 39%, pari a 146 miliardi, e le metropolitane poco più del 6 % (24,2 miliardi), mentre le opere idriche appena l’1,6 per cento (5,9 miliardi). Un altro 1,5 per cento spetta al Mose (5,5 miliardi) e l’1,4% ai porti (5,1 miliardi).