Stabilimenti fermi in tutta Italia e grande manifestazione nazionale a Bergamo, sede centrale del Gruppo. Così i sindacati di categoria Filca-Cisl, Feneal-Uil e Fillea-Cgil, insieme al coordinamento nazionale delle Rsu di Italcementi, hanno risposto al mancato rispetto degli accordi sottoscritti sia in sede sindacale che in sede ministeriale rispetto al piano di riorganizzazione del Gruppo (oltre a Italcementi anche Centro Tecnico di Gruppo e Calcestruzzi). Alle 8 ore di sciopero proclamate per oggi ha aderito la quasi totalità dei circa 2.300 dipendenti Italcementi distribuiti nei 14 stabilimenti nazionali. E a Bergamo erano più di 600, giunti da tutta Italia, al presidio presso la sede del Gruppo. I manifestanti hanno anche dato vita ad un corteo per le vie della città.
“Lo stato di agitazione dell’intero Gruppo – ha detto Riccardo Gentile, segretario nazionale della Filca-Cisl, intervenendo alla manifestazione – è stato proclamato a seguito della confermata volontà di Italcementi di voler cessare l’attività nei siti produttivi di Scafa (Pe), Monselice (Pd) e Broni (Pv) a partire da gennaio 2014. Lo smantellamento dei tre siti – ha spiegato Gentile – comporterebbe l’esubero di oltre 200 dipendenti. Si tratta di una scelta piena di contraddizioni, unilaterale e scorretta – ha accusato – perché smentisce quanto la stessa Italcementi aveva sottoscritto a dicembre 2012, con l’impegno ad applicare la Cassa integrazione fino al gennaio 2015”. La mobilitazione nazionale prevede il blocco immediato degli straordinari negli stabilimenti maggiormente interessati alla produzione a ciclo completo, il blocco immediato delle attività affidate alle imprese esterne e la conseguente riconduzione all’organizzazione interna del lavoro, consentendo il riassorbimento del maggior numero possibile di addetti. Quelle di ieri sono le prime 8 di 16 ore di sciopero; a fine ottobre, infatti, è previsto un nuovo sciopero nazionale. “Manifestiamo anche per rivendicare corrette relazioni sindacali – ha spiegato Gentile – e questo sia a livello nazionale che di stabilimento. Chiediamo maggior confronto, partecipazione e coinvolgimento nella scelta e nella modalità di gestione degli strumenti individuati, quali trasferimenti e trasferte, formazione, rotazione deicassintegrati”.
L’annuncio di Italcementi, relativo alla chiusura dei tre stabilimenti, sa davvero di beffa: Monselice doveva diventare il punto di riferimento produttivo del nord-est, ma i 170 milioni di investimento per il potenziamento si sono trasformati in 170 posti lavoro persi. Scafa, invece, è presente in un territorio interessato alla ricostruzione post terremoto, l’Abruzzo. Ma la grande domanda di cemento si preferisce evaderla comprando il prodotto dalla concorrenza piuttosto che produrlo in loco. “Siamo consapevoli della crisi che il settore sta vivendo oramai da 5 anni”, ha aggiunto Gentile. “A metà degli anni ’90 gli impianti in Italia erano 86 con una produzione poco sopra 34 milioni di tonnellate, oggi ci sono 80 impianti con 26 milioni di tonnellate di produzione. Ma nonostante la recessione il mercato italiano resta sempre il secondo in Europa, e Italcementi il quinto produttore mondiale. Merito anche dei sacrifici dei lavoratori e delle concessioni che abbiamo concordato: il blocco della contrattazione di II livello da 5 anni, le condizioni al ribasso dei contratti rinnovati nel 2010 e nel 2013, l’utilizzo degli ammortizzatori sociali ordinari. Tutto inutile, visto l’atteggiamento dei vertici del Gruppo”.