La sostanza vera di tutta questa storia è che la crisi ha messo l’Europa drammaticamente di fronte al suo peccato originale: aver creato una moneta unica, senza uno Stato unico e soprattutto senza una banca centrale che garantisse davvero per il suo debito, esattamente come fanno Federal Reserve, Bank of England e Bank of Japan. Giappone, che con un debito pari al 220 per cento del Pil è però in grado di ricevere soldi in prestito con tassi d’interesse all’1 per cento.
Lo scudo antispread, insomma, è l’ennesimo tentativo di surrogare una Bce che i trattati vogliono vigile e impotente. A Bruxelles l’Italia ha tenuto duro sul punto dello scudo antispread, costringendo la Germania prima a fare le ore piccole e poi a cedere sul meccanismo di stabilità voluto da Palazzo Chigi.
“L’Italia è soddisfatta, il processo è stato duro ma il risultato è stato buono”, dice Monti, “ci siamo battuti per queste misure ma non abbiamo intenzione di avvalercene, tuttavia ritenevamo che fosse un meccanismo utile in linea di principio: la zona euro ne esce rafforzata”. La novità importante dell’intesa, spiega il premier, “è che i Paesi che volessero beneficiare di questi interventi di stabilizzazione dovrebbero naturalmente chiederli, ma, se ricadono nel caso di osservanza di tutte le condizioni esistenti, non dovranno sottoporsi ad un programma specifico, dovranno firmare un memorandum d’intesa, ma non avranno la troika”.
L’accordo prevede che i Paesi “virtuosi” (ma anche chi uscirà dai programmi di aiuti, come Irlanda e Portogallo) sotto la pressione di spread eccessivi possano usufruire dell’acquisto di una parte dei loro titoli di Stato da parte dei fondi salva Stato, senza dover passare per il capestro di nuove condizioni aggiuntive rispetto agli impegni già presi con la Commissione e l’Eurogruppo. Niente inchino alla troika, dunque, per chi avrà bisogno di abbassare lo spread. Entro il 2012 la Bce assumerà il ruolo di “autorità di vigilanza bancaria per l’Eurozona”, come richiesto dalla Germania.
Il Paese interessato dovrà comunque fare una richiesta formale di attivazione dell’intervento del Fondo di salvataggio, e sottoscrivere un protocollo d’intesa con la Commissione europea, che è cosa diversa da quanto chiesto dall’Italia, che premeva per l’attivazione automatica dell’intervento nel momento in cui lo spread supera una certa soglia. Il protocollo comunque non conterrà condizionalità aggiuntive, e non farà che riprodurre il testo delle raccomandazioni “country-specific”.
I Paesi “virtuosi”, insomma, dovranno semplicemente “continuare ad adempiere alle condizioni a cui stavano già adempiendo”, osserva Monti. L’accordo non specifica se gli interventi anti spread dei fondi salva Stato consisteranno in acquisti di titoli di Stato sul mercato primario o su quello secondario, soluzioni entrambi possibili. Si è decisa inoltre la ricapitalizzazione diretta delle banche in crisi da parte dei fondi salva Stato (come voleva fortemente la Spagna), senza coinvolgere la responsabilità finanziaria degli Stati interessati, a condizione però (posta dalla Germania) che sia prima creata e resa operativa un’Autorità unica europea di sorveglianza bancaria.
Del resto, come si è detto, bisognava “spezzare il circolo vizioso fra le crisi bancarie e il debito sovrano”, ed evitare la drammatica beffa di uno Stato capace al contempo di salvare i propri sportelli e marciare verso la bancarotta, con tutto quello che ne conseguirebbe a livello di speculazione finanziaria. L’Eurogruppo del prossimo 9 luglio dovrà decidere oltre quale soglia dello spread far scattare il fondo salva Stati.
I 27 hanno dato anche il via libera al patto per la crescita e l’occupazione, (120 miliardi disponibili con il lancio dei Project bond, un miglior utilizzo dei fondi strutturali e la ricapitalizzazione della Bei) e una road map verso una vera e propria unione economica e monetaria, e l’adozione, entro il 2012, della tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax), che sarà messa in atto ricorrendo a una cooperazione rafforzata.