Il lavoro non paga. O comunque paga sempre meno, come dimostrano le ultime rilevazioni Istat che danno le retribuzioni contrattuali orarie in crescita di uno striminzito 1,2% su base annua a marzo e del tutto ferme rispetto a febbraio. Si tratta della crescita tendenziale più bassa almeno dal 1983, ovvero dall’inizio delle serie storiche ricostruite, 29 anni fa, a fronte di un’inflazione che, di contro, non conosce tregua: 3,3% l’ultimo dato su base annua. Il divario tra prezzi e salari ammonta dunque a 2,1 punti percentuali, il record dall’agosto del 1995. Per il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, i salari “fermi” sono lo “specchio” della situazione in cui versa il paese. “Se non si abbassa la pressione fiscale – ha spiegato Bonanni a margine di un convegno di Confindustria – non si potranno alzare gli stipendi e risollevare i consumi. Questo deve essere il punto fondamentale del patto sociale che chiediamo al Governo”. Tornando ai dati Istat, con riferimento ai principali macrosettori, a marzo le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell’1,7% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione. I settori che a marzo presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (2,9%), chimiche, comparto di gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e quello delle telecomunicazioni (2,7% per tutti i comparti). Si registrano, invece, variazioni nulle nell’agricoltura, nel credito e assicurazione e in tutti i comparti appartenenti alla pubblica amministrazione. Il problema sta soprattutto nei contratti non rinnovati. A marzo risultano in attesa di rinnovo 36 accordi contrattuali, di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a circa 4,3 milioni di dipendenti (circa 3 milioni nel pubblico impiego), pari al 32,6% nel totale dell’economia e del 12,3% nel settore privato. Anche l’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto nel frattempo è notevolmente salita, superando ampiamente i due anni. A marzo l’attesa, infatti, risulta pari a 27 mesi, in deciso aumento rispetto allo stesso mese del 2011 (15,2 mesi).
(DAL SITO WWW.CONQUISTEDELLAVORO.IT)