Fallimenti di imprese oltre quota 12 mila nel 2011 (+7,4% rispetto all’anno precedente quando erano stati 11mila). Il dato arriva dall’Osservatorio Crisi d`Impresa Cerved Group secondo cui si è arrivati ai massimi da quando è stata riformata la disciplina fallimentare. In controtendenza l`industria e il Nord Est; Milano la provincia più colpita.
Secondo il Cerved l`ondata dei fallimenti che ha colpito le nostre aziende dall`inizio della crisi non si è arrestata neanche nell`ultima parte del 2011, facendo registrare 3.500 procedure (+1,9% sul quarto trimestre 2010). È il massimo registrato in un singolo anno da quando è stata riformata la disciplina fallimentare nel 2006. Un dato questo che sebbene non superi in termini assoluti il record toccato nel 2005 (quando prima della riforma potevano accedere alle procedure anche le microimprese) “evidenzia ripercussioni più gravi rispetto al passato – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved Group – vista la maggiore dimensione media delle imprese coinvolte nel 2011, i costi in termini di posti di lavoro persi e ricchezza non prodotta sono significativamente maggiori”.
“Il conto della crisi è pesante: tra 2009 e 2011 sono fallite 33 mila imprese, per lo più aziende già fragili prima della recessione”, conclude De Bernardis. Con lo scenario di mercato che si prospetta davanti a noi, “se non si interviene rapidamente sul fronte della liquidità, il rischio che gli effetti negativi si ripercuotano anche sulle aziende sane, ma prive delle risorse finanziarie necessarie, diventa molto concreto”. Nel corso del 2011 i fallimenti sono aumentati in tutte le forme giuridiche, con una crescita più sostenuta tra le società di capitali (+8,6% sul 2010), rispetto alle altre forme giuridiche, +4,7%. Gli insolvency ratio, che misurano la frequenza dei default – fallimenti ogni 10mila imprese operative – indicano che sono proprio le società di capitale a fallire più spesso: l’IR infatti ha toccato nel 2011 quota 81,5 punti contro i 14,5 delle società di persone e i 5,2 delle altre forme. Le imprese più colpite sono state le piccole e medie aziende con un attivo tra i 2-10 milioni di euro, IR 132,9 punti e quelle con un attivo tra i 10-50 milioni, con un insolvency ratio pari a 127,2 punti.
Nel 2011 è proseguito l`aumento dei fallimenti nei servizi (+10% rispetto al 2010) e nelle costruzioni (+7,8%). In controtendenza l`industria che, pur rimanendo il macrosettore con la maggiore frequenza di fallimenti (IR 39,8), ha registrato un’inversione di tendenza rispetto al 2010 (-6,3%). Il risultato è da attribuire soprattutto ai miglioramenti dei settori che negli anni precedenti hanno pagato un conto salato alla crisi: alla meccanica, il cui IR passa da 70,6 punti del 2011 a 60,3 del 2010, alla chimica (da 59,1 a 46,3), al sistema moda (da 54,4 a 46,6), alla siderurgia (da 51,2 a 40,1). In peggioramento invece il sistema casa, da 54,7 a 59,9 punti e la filiera auto, da 45,2 a 53,1 punti.
Dal punto di vista territoriale, la crescita dei fallimenti osservata nel 2011 ha riguardato tutte le aree ad eccezione del Nord Est, in cui il numero delle procedure si è attestato sui livelli del 2010 (-0,3%), beneficiando dei cali registrati in Trentino Alto Adige (-5,5%), Veneto (-4,4%) e Friuli (-3,4%). Nel Nord Ovest i fallimenti sono aumentati ulteriormente rispetto al livello già elevato del 2010 (+8,4%), portando l`IR a 25,7 punti.
L`incremento dei default nel Centro Italia (+9,5%) risente della cattiva performance del Lazio (+23,4%), mentre l`aumento delle procedure del Mezzogiorno è dovuto principalmente agli alti tassi osservati in Molise (+39,5%) e Campania (+29,6%). Tra le province, Milano è quella in cui i fallimenti hanno avuto l`impatto maggiore nel 2011 (IR pari a 39 punti), seguita da Prato (37,5), Lodi (35,8), Novara (33,9) e Lucca.
(dal sito www.conquistedellavoro.it)