Ridurre i fattori di rischio per la salute dei restauratori e scongiurare l’inquinamento ambientale: questo l’appello lanciato durante il convegno sul Restauro sostenibile, svoltosi oggi presso l’Orto Botanico di Roma, promosso – in occasione dell’Anno Internazionale della Chimica – dal Centro di Ricerca per le Scienze Applicate alla Protezione dell’Ambiente e dei Beni Culturali e del Dipartimento di Igiene “G. Sanarelli”dell’Ateneo Sapienza, Chimica Verde, i sindacati del settore Feneal Uil – Filca Cisl – Fillea Cgil, IA-CS e Legambiente.
Il convegno ha affrontato i temi della conservazione responsabile dei beni culturali e fatto il punto sulle nuove metodologie per un restauro sostenibile alla luce degli avanzamenti della ricerca su materiali e sostanze a basso impatto per la salute e per l’ambiente. Il contatto diretto in ambienti diversi con polimateriali di differente grado di conservazione sottopone l’operatore addetto alla tutela del bene a rischi multipli: chimici, fisici e microbiologici. Ancora oggi, a causa della mancanza di un’adeguata informazione e schiacciati dalle leggi del mercato, gli operatori utilizzano reagenti e strumenti di vecchia generazione, che non garantiscono la salute dell’operatore e la tutela dell’ambiente. Perché allora, nonostante i grandi passi avanti fatti dalla ricerca e dall’innovazione, queste nuove pratiche non decollano?
Dunque, dal Convegno una prima proposta, quella di stimolare tutti gli attori della catena del ciclo della vita dei materiali, durante l’intera filiera – produzione, utilizzo e smaltimento – debbano contribuire mediante l’informazione, la ricerca e la prassi a diminuirne il duplice impatto. A cominciare proprio dall’aggiornamento per i restauratori e per gli altri operatori del settore, su cui si è concentrata la sessione pomeridiana del Convegno, offrendo una panoramica sui sistemi alternativi e maggiormente sostenibili in termini di rischi per l’operatore, per l’ambiente di lavoro e per l’integrità del bene culturale.
L’attività di restauro in Italia coinvolge circa 30.000 operatori, per l’80% donne, con una età media di 33 anni. Il 52% lavora con contratti di tipo autonomo o parasubordinato, che spesso si scoprono essere veri e propri lavori dipendenti. Il restante 48% lavora prevalentemente con contratti a tempo determinato. La precarietà diffusa in questo settore è un elemento ulteriormente aggravante rispetto al sistema di tutela del lavoro e della salute che dovrebbe essere garantita ad ogni operatore.
Ne consegue che nella gestione del rischio chimico diventa più difficile riuscire a riconoscerne gli effetti nel breve e lungo periodo. Inoltre, la progressiva diminuzione dei fondi alla cultura ha generato una riduzione costante del numero degli appalti in termini di quantità e di importo medio, che mette in ginocchio le imprese specializzate nel settore, costrette a contrarre i costi e i tempi di esecuzione a discapito della qualità degli interventi e delle condizioni di lavoro. Nel 2010 i bandi di gara sono stati aggiudicati per il 25% al prezzo più basso, con un ribasso medio intorno al 20% e per il 60% con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma addirittura con un ribasso medio del 24,4%. Se si considera che quasi la totalità delle opere sono sotto soglia, cioè affidate direttamente senza gara o con trattativa privata, è evidente che la mancanza di trasparenza rende più difficile vigilare sull’applicazione delle regole che escluderebbero dal ribasso i costi della sicurezza.
Da Convegno una proposta agli attori del settore: definire le scelte responsabili con il coinvolgimento di committenza, imprese, operatori e gli stessi produttori dei materiali, con l’obiettivo di orientare il settore all’utilizzo di prodotti meno pericolosi e a metodi ed organizzazione del lavoro adeguati. Un settore dunque che sempre più deve guardare alla sostenibilità convertendo la gestione delle attività di tutela, così come del recupero e della ristrutturazione dei numerosissimi centri storici italiani, verso un sistema che rispetti l’uomo e l’ambiente. Una scelta attuale, economicamente vantaggiosa e soprattutto indispensabile. Dal convegno infine la volontà di costituire di un vero e proprio tavolo tecnico, che in modo stabile e da subito offra il proprio contributo e le proprie competenze ai Ministeri competenti.